Mentre in tutto il mondo apprezzano i prodotti siciliani e all’Expo fanno la fila per conoscerli, i piccoli produttori sul territorio sono in ginocchio schiacciati dall’invasione di prodotti dall’estero e dalla scarsa tracciabilità degli stessi una volta introdotti nel nostro mercato. Crollano i prezzi dei prodotti agricoli nelle campagne palermitane con ripercussioni su tutta la filiera che non riesce più a sostenere i costi di produzione. I dati riferiti dalla Coldiretti sulla base delle elaborazioni dell’Istat sull’inflazione a marzo (dati Ismea) su Palermo rispecchiano quelli nazionali: si va dal -30 per cento per il grano duro, fino al – 41 per cento per le arance, rispetto all’anno scorso, ma la situazione è precipitata anche per quanto riguarda gli allevatori. In particolare il prezzo per il grano duro, e Palermo è una delle province che ne produce di più in Sicilia, al chilo è arrivato a oscillare tra i 22 e i 25 centesimi. Quello dell’olio tra i 2.50 e i 3 euro al litro. Ma sui terreni della provincia del capoluogo si produce anche vino e ortofrutta.
«Nelle campagne – sottolinea la Coldiretti – la situazione è drammatica. Anticipo dei calendari di maturazione, accavallamento dei raccolti, varietà tardive diventate precoci, con eccesso di offerta prima e crollo della disponibilità poi, sono solo alcuni degli effetti dell’andamento climatico anomalo sulle coltivazioni». Sotto accusa anche le condizioni favorevoli concesse al Marocco per pomodoro da mensa, arance, clementine, fragole, cetrioli, zucchine, aglio, olio di oliva, all’Egitto per fragole, uva da tavola, finocchi e carciofi. Il problema parte «dalla tracciabilità dei prodotti che produciamo – dice Alessandro Chiarelli presidente Coldiretti regionale e provinciale – si tratta di una battaglia di liceità. Nessuna goccia di olio o vino che viene dall’estero dovrebbe essere spacciata come prodotto del territorio. Per non parlare del grano dove assistiamo all’ennesimo gioco delle tre carte». In Puglia e Sicilia afferma Chiarelli «sono arrivate navi cariche di grano provenienti da Canada, Brasile, Ucraina, facendo si che le produzioni del territorio cadano come prezzo». Stesso discorso per quanto riguarda l’ortofrutta che arriva dal Marocco. «Le arance marocchine devono restare marocchine, gravissimo che vengano spacciate come nostre».
In più, i Paesi da cui provengono i prodotti freschi o i semilavorati non rispetterebbero le regole osservate dai produttori locali, denuncia ancora l’associazione degli agricoltori. L’accordo con il Marocco, riferisce Coldiretti, in particolare è fortemente contestato dai produttori agricoli perché nel paese africano è permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa ma anche perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso costo della manodopera. Per esempio, precisa ancora Chiarelli «da noi è vietato aggiungere zucchero al vino per aumentare di un grado il tasso alcolico della bevanda». «Se si sapesse che il panino che si compra dal panificio è prodotto con il grano ucraino anziché quello di Corleone il consumatore sarebbe libero di decidere tra quale dei prodotti scegliere» e aggiunge: «Lo stesso vale per i formaggi come la ricotta di qualità. Si dovrebbe sapere con che cosa è prodotto il cannolo, spesso farcito con semilavorati congelati importati dalla Romania».
«In parte è il sistema di aiuti della Pac (Politica Agricola Comune) – spiega Guido Bissanti docente al dipartimento di Agraria dell’università di Palermo ed ex membro del consiglio nazionale dell’ordine degli agronomi – che agevola le grosse catene di distribuzione che coprano a minor prezzo e dall’altro lato stanno mettendo in ginocchio i piccoli produttori agricoli del territorio. I mercati liberi rappresentano così un nuovo colonialismo in doppiopetto». Ma c’è un altro aspetto da considerare che potrebbe contribuire, secondo l’esperto, alla soluzione del problema. Oltre a favorire il crollo dei prezzi, il viaggio delle derrate agricole fa sì che si «emettano molti inquinanti cosa che incide sugli accordi del protocollo di Kyoto. Se applicassimo al viaggio delle derrate agricole una tassa sull’emissione di anidride carbonica si potrebbe dare una regolata anche all’arrivo dei prodotti agricoli in eccesso».
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