Da una parte le cifre date in conferenza stampa e la promessa di aiuti concreti alle aziende agricole, dall’altra la consapevolezza che le cose fuori da palazzo d’Orleans stanno diversamente. Sono più complicate, se non proprio impossibili da risolvere, perlomeno finché non verrà modificato l’intero impianto di gestione dei fondi europei legati al programma di sviluppo rurale (Psr).
La pasqua degli agricoltori siciliani è trascorsa così, cercando di capire se dentro l’uovo donato al comparto dal presidente della Regione Nello Musumeci e dall’assessore Edy Bandiera ci sia una reale sorpresa o l’anticipo di una delusione già provata nel recente passato. Entro maggio, infatti, saranno pubblicati una quindicina di nuovi bandi per un valore complessivo di 146 milioni di euro. Una somma che Musumeci ha presentato come un «sostegno a un’agricoltura che vive in una condizione di obiettiva difficoltà» e rimarcando il fatto che la Regione Siciliana, dati alla mano, risulta tra quelle più attive nella spesa comunitaria nell’ambito del Psr.
Ma cosa ne è concretamente di questi soldi? A ridimensionare l’entusiasmo del governo regionale c’è stato prima il 64enne di Piazza Armerina che nel giorno dell’annuncio dei nuovi bandi dalle pagine del Corriere della Sera ha lanciato il proprio appello a disertare tutto per protesta contro le lungaggini burocratiche. Oggi è il turno dell’Unione allevatori Sicilia, associazione che raggruppa oltre un migliaio di piccoli imprenditori del settore agrotecnico. Già nel recente passato l’associazione aveva alzato la voce per portare alla luce le criticità nella gestione dei bandi. A partire da quello per il biologico, che negli anni scorsi è stato al centro delle polemiche per la gestione delle graduatorie. Polemiche che – a distanza di anni e a poche settimane dal nuovo bando – non si sono placate, anche se il nodo della questione è diverso: il mancato pagamento delle somme che spettano a chi ha deciso di convertire le produzioni rispettando i metodi biologici.
«La situazione è oramai cronica – commenta Massimo Cavaleri, uno dei legali che segue l’Unione allevatori Sicilia -. Ci sono moltissimi imprenditori che attendono i soldi dal 2015 e a ciò bisogna aggiungere che, sottoscrivendo l’impegno a rispettare i principi che regolano il biologico, hanno automaticamente rinunciato al 35 per cento di produzione all’anno». All’origine del blocco dei pagamenti c’è un problema con il sistema informatico usato dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) per gestire le pratiche. «La Regione Siciliana ha introdotto richieste più stringenti rispetto a quelle vigenti a livello nazionale per verificare l’ammissibilità delle domande – spiega Cavaleri -. Ciò ha fatto sì che il sistema rileva una lunga serie di anomalie che bloccano le pratiche, senza però avere le funzioni per consentire agli imprenditori di risolverle». Tali rilievi sono stati, lo scorso autunno, al centro di un ricorso al Tar, che ha dato ragione all’associazione confermando il malfunzionamento del sistema. «A oggi le cose non sembrano cambiate e ciò fa pensare che anche con il prossimo bando i problemi si ripresenteranno».
Ma le critiche riguardano anche altre misure incluse nel Psr. Una di esse è quella riguardante l’indennità compensativa, ovvero gli aiuti economici per chi conduce le aziende agricole in zone montuose o soggette ad altri vincoli naturali. La Comunità europea prevede finanziamenti per impegni annuali. «A non quadrare in questo caso è la decisione della Regione di accogliere solo le istanze di chi possiede il titolo sul terreno da almeno un anno. Ciò – sottolinea l’avvocato – rischia di favorire le aziende storiche e di lasciare fuori chi, per esempio, opera in terreni demaniali le cui concessioni vengono rinnovate di anno in anno. Per loro, infatti, il rischio è quello di non poter dimostrare il possesso del titolo nella fase in cui l’aggiudicazione della concessione non è ancora definitiva».
Un altro bando su cui l’Unione allevatori Sicilia ha sollevato perplessità è quello che tratta i finanziamenti per incentivare la trasformazione di terreni seminativi in pascoli permanenti, nell’ottica di preservare la fauna e la flora selvatica. In questo caso l’impegno per le aziende è settennale. Investimenti importanti che possono essere indotti, nel caso di coltivatori di grano, dalla difficoltà a competere con le importazioni dall’estero. «Il rischio però è anche in questo caso di smettere di coltivare e trovarsi senza finanziamenti per mancanza di fondi sufficienti e anche per il fatto che la Regione – racconta il legale – in passato ha dato la precedenza a chi ha i terreni in aree che fanno parte di siti appartenenti alla Rete Natura 2000 o in zone vulnerabili ai nitrati. E questo nonostante la normativa europea dica che i fondi vanno ripartiti tra tutti gli aventi diritto».
A lamentare la mancanza di finanziamenti adeguati per sostenere l’intero comparto è il presidente dell’Unione allevatori Sicilia Carmelo Galati Rando. «La Sicilia è la regione d’Italia che ha più superfici in bio, ma adesso rischia seriamente di perdere questo primato, andando in controtendenza rispetto alle altre regioni e soprattutto a ciò che accade in Europa – dichiara Galati Rando a MeridioNews -. Il governo regionale ha deciso di utilizzare le risorse disponibili in altri settori e non ha le economie sufficienti a sbloccare fondi europei importanti. Basterebbero meno di 40 milioni di coofinanziamento regionale per fare arrivare in Sicilia ben 250 milioni di fondi europei per mantenere l’agricoltura biologica per cinque anni. Un piccolo sforzo – continua il presidente degli allevatori – che potrebbe avere un grande ritorno. La scelta politica però è diversa e così nei giorni scorsi sono usciti questi bandi, con una dotazione complessiva di 35 milioni per il biologico contro i 250 occorrenti. Una notizia che non fa gioire nessuno».
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