Bloccato a Londra dalla nube di cenere islandese, l’autore di After Jugo, il trevigiano Marco Pavan, non ha potuto partecipare alla consegna del premio “Eretici digitali” nel corso del Festival di giornalismo a Perugia. Il suo reportage multimediale su nove giovani di Sarajevo ha conquistato la giuria del premio per la complessa struttura ipertestuale che accompagna il lettore, attraverso contenuti video, audio e fotografici, alla scoperta della Bosnia del “dopo Jugoslavia”, troppo spesso dimenticata. Seppur a Londra, per via dei blocchi aerei, Marco non poteva non rendere onore al nuovo titolo di “eretico digitale” e ha accettato di parlare del suo lavoro e delle sue aspirazioni via Skype* con un co-vincitore.
Ti aspettavi di vincere la prima edizione di “Eretici digitali”?
«È stato inaspettato, a dire il vero mi ero anche dimenticato di aver partecipato. È stata una bella sorpresa».
Il tuo lavoro in che periodo si è sviluppato? Ho letto che hai creato After Jugo per un master in fotogiornalismo.
«Sì, è il “final project” ovvero la tesi finale del master in foto-giornalismo che ho seguito qui a Londra. Il materiale è stato raccolto ad agosto: sono andato lì (Sarajevo, ndr) e ho lavorato fino a dicembre per mettere insieme tutto il materiale».
Come è nata l’idea di un ipertesto navigabile a più temi?
«L’intenzione iniziale era quella di mostrare i nove ragazzi che ho intervistato in una pagina, cosa peraltro realizzata sul sito, un quadrato con le varie caselle dove si possono seguire le diverse storie. Ma fare solo questo era limitativo, internet permette di più. Leggendo un libro di due fotografi inglesi, ho avuto l’idea per realizzare After Jugo. Si tratta di un libriccino non particolarmente lungo, dove su ogni pagina c’è una foto con una didascalia, pagina che è legata in qualche modo per logica o per colori a quella precedente o successiva. Il risultato non è una storia giornalistica, non è una narrazione lineare nel senso classico, però è comunque una concatenazione di immagini e di contenuti».
Cosa ti ha portato da Treviso a Londra?
«Ho iniziato a lavorare come fotografo freelance in Italia, dopo la laurea triennale in Scienze della Comunicazione a Padova ma, vedere come andavano le cose qui insieme al desiderio di vivere un po’ fuori dall’Italia, ha fatto si che quando mi si è presentata l’occasione di lavorare a Londra io l’abbia presa al volo. Poi mentre ero a Londra ho fatto domanda per il master e, dopo essere stato selezionato, sono rimasto. Tutto si è svolto semplicemente e inaspettatamente».
E cosa ti ha portato da Londra a Sarajevo?
«A Sarajevo sono andato per la curiosità di scoprire una città di cui si parla molto poco, così come della Bosnia in genere. Si conosce molto di più la Croazia perché noi italiani ci andiamo al mare, e la Serbia per tutto quel che è successo negli anni recenti; mentre la Bosnia è finita nel dimenticatoio. Mi ha spinto il desiderio di andare a vedere, a scoprire un Paese che è a due passi da noi ma è dimenticato».
Il 58% di disoccupazione tra gli under 30 è un dato, non molto distante dal nostro, che hai messo in evidenza in After Jugo. Ci sono affinità, secondo te, tra la situazione dei giovani bosniaci e quella degli italiana, del Sud Italia in particolare?
«La situazione in Bosnia è molto più grave di quella che viviamo noi in Italia. Vedendo Sarajevo cominci a renderti conto che siamo veramente fortunati anche se la situazione italiana ci spinge magari ad andare all’estero. In Bosnia hanno tantissimi problemi economici, ma soprattutto ci sono delle grossissime tensioni e divisioni etniche e religiose che in Italia, per fortuna, non esistono».
After Jugo è stato creato con un’ottima conoscenza delle potenzialità del web. Questa conoscenza è frutto degli studi universitari o della tua passione personale?
«Della passione personale. Ho iniziato con il mio sito, poi le cose si sono un po’ sviluppate e anche alle lezioni del master, qui a Londra, ultimamente si è parlato molto di “web 2.0”. Anche solo per farsi pubblicità personalmente, bisogna usare tutti i canali possibili, a cominciare da Facebook o Twitter. Portano via un sacco di tempo, ma effettivamente funzionano: le informazioni girano e ci si fa conoscere».
Secondo te al giorno d’oggi quanto peso ha la conoscenza, almeno base, del web per un giornalista?
«Beh è molto utile. After Jugo è semplicemente fatto in html, “a mano” pagina per pagina, mentre ho usato wordpress per la pagina dei commenti, proprio perché era molto più semplice da realizzare avendo a che fare con un database. WordPress è molto facile, puoi utilizzarlo senza fare nulla, o comunque molto poco».
I tuoi video sono caratterizzati da uno stile “ibrido”, un mix tra fotografia e video. Come ti è venuta questa idea?
«Non saprei come definire “quella cosa lì” in italiano. Qui in Inghilterra vengono molto semplicemente chiamati “multimedia” e sono una evoluzione degli slideshow di immagini e musica verso un linguaggio più cinematografico. È una ricerca, nel senso che si procede per tentativi ma è una strada, secondo me, molto semplice da percorrere. Adesso poi le macchine fotografiche cominciano a fare anche i video, si cominciano a mescolare i due generi e quindi vale la pena provare a farlo. E divertircisi anche».
Al di là del premio, cosa ti ha dato questa esperienza a Sarajevo?
«La conoscenza di Sarajevo e della Bosnia, dove io non ero mai stato prima. Ho incontrato persone davvero disponibili, come i nove ragazzi che hanno accettato di partecipare. Il lavoro sul campo mi è servito perché è stato l’inizio di quella “ricerca” di cui parlavo: come mescolare video, fotografie, audio. Ci sono anche degli errori tecnici, ma è un punto di partenza per nuovi lidi e nuovi tentativi».
Quali sono i tuoi progetti nel prossimo futuro?
«Per ora l’idea è quella di restare a Londra. Sto iniziando a vedere quel che si muove qui attorno e chi fa lavori di questo tipo per cercare di esplorare il più possibile questa strada».
*Ore 15.30, ci sentiamo tramite Skype per una prova tecnica. Il tempo di sistemare il tutto, audio e video per la registrazione, e partiamo. Entrambi comodamente seduti nelle nostre stanze, uno a Londra l’altro a Catania. Io ho due tazze di caffè davanti. Non sapevo ancora che fosse una tradizione di Sarajevo: sulla home page di After Jugo, si parla della tradizione di lasciare una “tazza di caffè extra” per gli ospiti.
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