Aeroporto, il piano per vendere Fontanarossa ai privati Agen: «Con offerte sotto il miliardo ci tiriamo indietro»

«Se si scende sotto al miliardo, noi ci tiriamo indietro». Perché vendere sì, ma non andarci sotto. Pietro Agen, vertice della super Camera di commercio (quella che mette insieme Siracusa, Ragusa e Catania), ha le idee chiarissime. Del resto, rappresenta la maggioranza della proprietà della Sac, la società che gestisce l’aeroporto di Catania. E la cui assemblea dei soci, questa mattina, ha stabilito di approvare uno dei progetti per la privatizzazione dello scalo di Fontanarossa. Saranno vendute fino al 70 per cento delle quote societarie, tramite un advisor (una sorta di intermediario) che sarà selezionato con un bando pubblico e che medierà tra i compratori e gli attuali proprietari. «I prossimi passaggi prevedono il coinvolgimento di altre istituzioni – aggiunge Agen – Bisognerà capire, con l’aiuto della Regione, se il Libero consorzio di Siracusa, la Città metropolitana di Catania e l’Irsap possono vendere liberamente le proprie quote oppure no. Insomma, è complicato e va chiarito». L’assemblea dei soci (stamattina c’erano tutti) ha dato mandato all’amministratore delegato Nico Torrisi di coordinare un tavolo di confronto. Perché la volontà politica di privatizzare c’è, ma bisogna capire se c’è la possibilità di farlo per come si è pensato.

All’appuntamento di questa mattina Torrisi avrebbe presentato due scenari possibili per la vendita: uno dei quali, quello poi votato all’unanimità, prevede una gara aperta. Ma non al migliore offerente: non si dovrà valutare solo quanto un privato è disposto a mettere sul piatto, ma anche quali progetti di sviluppo per l’aeroporto e per il territorio ha in mente. Anche perché Sac, tramite la sua controllata Intersac, possiede la maggioranza di Soaco, la società che gestisce lo scalo di Comiso. «Sono certo che ci siano gruppi interessati all’acquisto – dichiara Agen – Ma noi lo abbiamo detto chiaramente: la base deve essere di un miliardo, bisogna salire, altrimenti noi non vendiamo». E il banco salta.

A soffrirne sarebbe certamente chi vuole fare cassa. Con quei nove zeri sul piatto, il 12,24 per cento sarebbe una bella somma sia per la ex provincia di Siracusa (in dissesto), sia per la Città metropolitana di Catania (che bene non sta), sia per il Comune di Catania. A Palazzo degli elefanti toccherebbe la porzione più piccola della torta, in virtù di quel misero 2,04 per cento di società che possiede. Sempre di decine di milioni, comunque, si tratta. C’è poi da dirimere un dubbio sul default del municipio etneo: tra i compiti dell’organo straordinario di liquidazione c’è anche quello di valutare le alienazioni dei beni patrimoniali disponibili e farle partire. Se le quote societarie facciano parte dei beni che i tecnici possono dismettere senza l’intervento della politica, però, non è del tutto chiaro. Certo è che l’intendimento del primo cittadino Salvo Pogliese è coerente con quello di tutti gli altri attori in gioco: passare la palla ai privati.

«Non è perché Sac non è in grado di affrontare gli investimenti che sono previsti da qua al 2020 – precisa l’amministratore delegato Nico Torrisi – La società è sana, posso dirlo con certezza, possiamo investire». Ma non di certo le cifre enormi che servirebbero per allungare la pista e ammodernare il terminal Morandi, trasformandola in una struttura completamente nuova. «Una cosa è importante chiarire: oggi non è stata approvata la privatizzazione, siamo ancora nelle fasi preliminari di un percorso che sarà complesso». Secondo Pietro Agen, «appassionato di cronoprogrammi, come sa chi mi conosce», perché tutto sia concluso potrebbero volerci dai sette ai tredici mesi. Un periodo di tempo lungo, ma non troppo, se si considera che di mezzo c’è una decisione che cambierà il volto del sistema infrastrutturale in Sicilia.

Luisa Santangelo

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