Addiopizzo, testimonianze di resistenza a confronto «Mai dire di sì a Cosa nostra, la libertà non ha prezzo»

«Potevi evitare di farlo arrestare però». Gli dice proprio così lo zio, quando Giorgio Scimeca denuncia un cliente che gli aveva detto di mettersi in regola. Il suo pub a Caccamo dava fastidio a qualcuno di Palermo. Il suo rivolgersi ai carabinieri, però, sembra rompere gli equilibri del paese. «Ti faccio avere 500 euro di risarcimento da parte di chi sai tu, in cambio al processo devi ritrattare tutto. Non ci pensi che hai fatto finire in carcere un padre di famiglia?». Sorride ormai mentre racconta questa storia e ricorda le parole del parente, questa volta in occasione dell’incontro organizzato da Addiopizzo all’ex Noviziato dei Crociferi alla Kalsa. Un’occasione per discutere di consumo critico e di lotta alla mafia. «Pensavo che lui fosse un grande imprenditore, ma dopo quelle parole ho scoperto che lo era diventato con gli amici degli amici», continua Scimeca, che ha denunciato Cosa nostra in un contesto in cui prima della sua vicenda non era pensabile che accadesse.

Poco tempo dopo l’estorsore viene condannato a quattro anni: lì scatta l’isolamente da parte di un paese intero e l’attività comincia a risentirne. Ma è qui che la storia diventa un’altra. «Non dimentico niente del giorno in cui sono entrati nel mio locale, i loro occhi, i loro vestiti, la loro voglia di aiutarci senza nulla in cambio». Si commuove Scimeca mentre racconta il suo primo incontro coi ragazzi di Addiopizzo. Lui è il primo imprenditore a rivolgersi all’associazione palermitana antiracket. Gli si aggiungeranno, negli anni, oltre mille colleghi. «Loro sono stata la mia rinascita, mi hanno fatto capire che l’unione fa la forza e che la mia storia io devo raccontarla a tutti, senza negarmi – continua – Insieme abbiamo mandato un messaggio preciso: che io e gli altri come me non eravamo più soli, se ci avessero fatto qualcosa avrebbero fatto rumore».

Seduto di fianco a lui c’è Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, che ne ripercorre la vita, l’omocidio e tutto quello che venne dopo. Dal Centro Impastato di Umberto Santino e Anna Puglisi a Casa Memoria: «Nasce da una scelta di mia madre, che subito decide di aprire la porta della sua casa e di fare entrare tutti, per cercare di mantenere viva la memoria storica di Peppino. Parlava con me e mi diceva che quella porta non avrei mai dovuto chiuderla, e lo disse anche ai miei figli – racconta Giovanni – Quella casa non apparteneva più a noi, è stata un dono che abbiamo fatto in coerenza con le idee di mio fratello». Impossibile non citare anche il casolare dove avviene l’omicidio, oggi in stato di semiabbandono. «È il luogo in cui è stato ucciso e in quanto tale deve rimanere un luogo di memoria, ci stiamo battendo per questo – dice – Se l’armata rossa avesse ritardato il suo ingresso ad Auschwitz, i nazisti avrebbero avuto il tempo di cancellare ogni prova e la shoa oggi sarebbe una nostra invenzione. È per la stessa ragione che è tanto importante preservare quel luogo».

Fra loro c’è anche spazio per una testimonianza diversa, ma che è forse la più attesa da cittadini e turisti: quella del cantautore palermitano Pippo Pollina, che arriva in città per chiudere il suo Tour della memoria, con il quale ha girato l’Italia raccontando la mafia e la rivoluzione dei siciliani contro gli stereotipi che li hanno ingabbiati per anni. Chiude il tour nella sua città natale, ripercorrendola attraverso i momenti della sua vita. Dagli studi di giurisprudenza al primo movimento antimafia a cui aderisce. La musica con gli Agricantus e il sogno del giornalismo insieme a Giuseppe Fava nella redazione de I Siciliani. «La situazione politica italiana e internazionale non consentiva di pensare a una Sicilia senza Cosa nostra, che aveva un ruolo politico ben preciso, limitare le forze di opposizione. Grazie a questa funzione, avallata anche dagli Stati Uniti, si capiva che non c’erano i presupposti perché le cose cambiassero. Si giustificava in qualche modo l’operato di Cosa nostra, e lo Stato in cambio riceveva la liceità di fare e disfare qualsiasi cosa sul nostro territorio», spiega. Lascia Palermo nell’85, alla scoperta di altri posti e nuove culture. Ma di scrivere le storie della nostra terra in realtà non ha mai smesso. 

Silvia Buffa

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