Addio a Pippo Morina, amico di sempre

Ieri ci ha lasciato, per sempre, Pippo Morina. Un amico. Un collega. Un giornalista. Un personaggio.

Pippo, per certi versi, era unico. M’interrogo quando ho incontrato per la prima volta il suo nome. Forse da bambino. Allora in edicola si trovare un giornale che si chiamava “L’occhio”. Mio padre ne portò a casa una copia. Se non ricordo male, c’era la sua firma.

Era un giornale strano. Un quotidiano molto nazionalpopolare, come si direbbe oggi. Lo dirigeva Maurizio Costanzo. Durò poco perché nel nostro Paese queste notizie – a parte le ville, le feste e le donne di Berlusconi – vanno sui settimanali.

La prima volta che ho scambiato qualche parola con Pippo Morina? Non lo ricordo con precisione. Forse alla fine degli anni ’70. O forse nei primi anni ’80. Però ricordo una bella discussione con lui su Antonio Canepa. Dovevo scrivere un pezzo per “Universitas”, un mensile animato da Padre Rizzo. Mi raccontò un sacco di cose. (foto a sinistra, tratta da pieffezeta.it)

Negli anni ’80 l’ho incontravo raramente. Scambiare con lui impressioni e idee era sempre un piacere. Perché le sue interpretazioni erano sempre fuori dagli schemi. Soprattutto in materia di cronaca giudiziaria. Molti dei fatti giudiziari degli anni ’80, raccontati da lui, coincidevano poco, o non coincidevano affatto, con le cose che i giornali di quegli anni davano per verità assolute.

Cosa mi raccontava? Lasciamo perdere. Non mi va di essere arrestato per “disturbo delle quiete pubblica”. Meglio evitare.

Siamo diventati amici nei primi anni ’90, quando lui scriveva di politica regionale per l’Ansa. Era sempre nel ‘Palazzo’ (Reale, o dei Normanni: fate voi) dove ha sede l’Assemlea regionale siciliana. E io ero pure lì che lavoravo con Franco Piro ad “Assemblea”, un mensile divertente.

Ci vedevamo ogni mattina. Io avevo già smesso di fumare, lui no. Andava sempre in coppia con Ninni Giuffrida, che di lì a poco sarebbe diventato segretario generale.

Una cosa che non riuscivo a capire era come mai uno come lui, che ironizzava su tutto, riusciva poi ad essere serio sul lavoro. I suoi lanci Ansa sulla politica regionale erano assolutamente professionali: non un commento, solo notizie allo stato puro. E dire che passavamo quasi tutto il giorno a ‘sgamare’ le operazioni di questo o qual deputato, o di questo o qual gruppo di potere.

Pippo non credeva in un’ideologia. Era un presocratico, con una spiccata tendenza verso lo scetticismo alla stato puro.

Dettto questo, quando scriveva i lanci Ansa non lo dimostrava. A differenza di quanto ho sempre fatto io, che quando devo dare del ‘bandito’ a qualcuno lo faccio e basta.

Ricordo una cosa di cui andava molto fiero: un’inchiesta che fece nei primi anni ’80 sul porto turistico di Palermo. Acquasanta, per intendersi. Dove descriveva, a meraviglia, le gesta di Paolo Cimino, allora ‘megadirettore galattico’ dell’Ente Porto di Palermo.

Ragazzi: inchiesta bellissima. Soprattutto per il periodo in cui è stata scritta. Che storia!

Dopo la grande mareggiata che colpì Palermo nei primi anni ’70, un gruppo di alto-panormiti si era impossessato di una bella ‘fetta’ dei soldi per la ricostruzione del molo. Fondi regionali. Con il ‘malloppo’ è stato realizzato il porto turistico. Ricordo l’elenco dei nomi. C’era tutta la Palermo che allora contava. Quasi tutta la ‘magnifica’ Democrazia cristiana panormita degli anni ’70-’80.

Ovviamente, non posso parlare di Morina senza parlare di Vinicio Boschetti, la più simpatica “canaglia” che ho conosciuto nella mia vita. I due erano sempre insieme. Inseparabili. Benché completamente diversi.

Con Boschetti abbiamo dato vita a tante iniziativa. Tutte colate meravigliosamente a picco. Anche perché Vinicio ha una capacità quasi unica: mettere sempre le persone sbagliate nei posti sbagliati. E’ come giocare la schedina e non indovinare nemmeno una partita: non è facile sbagliare tutto!

Ecco, quando Vinicio dà vita a un giornale riesce sempre in quest’impresa. Sempre. Quando, tanti anni fa, ho illustrato la mia tesi su Boschetti a Pippo Morina, beh, mi ha dato torto. Negli ultimi anni – e quando parlo degli ultimi anni mi riferisco agli ultimi sette otto anni, al “Baretto” di via XX Settembre, la mattina dalle sette alle nove – su Boschetti mi dava sempre ragione. Senza mai parlare, però: annuendo e basta.

Eh già, perché negli ultimi sette-otto anni con Pippo Morina non sono riuscito più a parlare. Siamo sempre rimasti amici, per carità: era lui che aveva deciso di non parlare. Al massimo qualche battuta.

Lo incontravo con Boschetti al ‘Baretto’. Immerso nella lettura dei giornali. Vinicio, infatti, compra una decina di quotidiani ogni giorno. Pensa che, a furia di legge giornali, dovrebbe diventare saggio. Non ha mai capito che l’effetto che ottiene è l’esatto contrario. Anche su questo con Morina eravamo d’accordo.

Un altro argomento che affrontavo spesso con Pippo era l’antiberlusconismo viscerale di Boschetti. La mia tesi è che Vinicio è un berlusconiano mancato. Una vittima del mito di Berlusconi diventato ricco con il lavoro, l’impegno, l’ingegno e bla bla bla. Pure su questo Pippo era perfettamente d’accordo con me.

Sono andato avanti: stavo per dimenticare “Il Mediterraneo”. Il quotidiano nato on casa mia – anzi, in casa di mio padre, in giardino – davanti a una forma immensa di pecorino e vino bianco ghiaggiato a fiumi. Con Vinicio che mangiava a ‘quattro ganasce’ e Morina che fumava una sigaretta dietro l’altra, tipo ciminiera.

“Dovete fare un giornale grintoso”, mi diceva Morina. Aggiungendo: “Mi raccomando, notizie senza guardare in faccia nessuno”.

Appena cominciarono a uscire i primi numeri Morina si deve essere un po’ pentito degli ‘avvertimenti’ lanciati in anticipo. In effetti, tiravamo ‘bordate’ a destra e a manca. Anche a quelli che Boschetti pensava dovessero essere i suoi amici. Un giorno, dopo l’ennesima querela arrivata in redazione, Morina mi prende per il braccio e mi dice: “Tu e Terracina siete due matti. Totalmente matti…”.

Terracina è il mio amico Saro, detto anche Francesco, che sembra palermitano ma è di Cefalù, anzi di Sant’Ambrogio: che con Cefalù non c’entra nulla.

Ho dimenticato qualcosa? Quasi tutto. Per esempio, le lunghe discussioni su un ‘caso’ che Pippo aveva seguito da cronista: “Il califfo di Cuccubello”. La storia di un uomo ammirevole che si dedicava a tante donne. Allora ero piccolo. Ho ricordi vaghi. Le ‘autorità’ lo massacrarono. Secondo me per invidia.

Oggi mi rimane addosso la malinconia. Mi rimangono i ricordi. Tanti. E le lacrime. Altrettante. L’unica cosa che non mi mancano sono i casini. Ma questo non c’entra.

Un abbraccio, Pippo.

 

 

Giulio Ambrosetti

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