La pioggia degli ultimi giorni – più sulla fascia ionica che altrove – è valsa un sospiro di sollievo per quanti in Sicilia, negli ultimi mesi, hanno lamentato gli effetti delle scarse precipitazioni. Anno dopo anno e non più soltanto d’estate, l’inaridimento dell’isola si impone sempre più come uno dei problemi con cui fare i conti. Ma se sugli effetti dei cambiamenti climatici si può fare ben poco a livello regionale, ben altre riflessioni sono quelle che scaturiscono dall’ultimo report sull’acqua pubblicato da Istat. I numeri fotografano una situazione tutt’altro che rosea nella gestione delle risorse idriche, lì dove invece ce ne sarebbe più bisogno. Basti pensare, per esempio, che in quattro capoluoghi di povincia su nove si perde più della metà dell’acqua che viene introdotta nelle reti idriche. Il record in negativo, da questo punto di vista, viene registrato a Siracusa con il 67,6 per cento, seguita da Messina e Catania rispettivamente con il 52,4 e il 51,3 per cento. Ad Agrigento, invece, è il 50,6 per cento dell’acqua che viene di fatto sprecata. I dati, che fanno riferimento al 2020, dicono che a Palermo si perde il 49,3 per cento, il 45 a Ragusa e Trapani, mentre la percentuale scende a Caltanissetta ed Enna, con il 32,5 e 32,3 per cento. Considerando nel complesso il volume dell’acqua immessa nelle reti, nei capoluoghi le perdite ammontano al 51,5 per cento.
Nel mirino finiscono le infrastrutture malandate – per le quali la Sicilia potrebbe avere perso un’importantissima occasione nell’ambito dei fondi legati al Pnrr – ma questo è solo uno dei problemi che minano il settore. A sostenerlo è Salvatore Barbagallo, direttore del Centro studi di Economia applicata all’ingegneria dell’Università di Catania. «Quello delle perdite è un problema molto grave in Sicilia, e bisogna guardare soprattutto all’agricoltura verso cui è destinato il 70 per cento delle risorse idriche. Ottenere dei risparmi è possibile – ha spiegato Barbagallo intervenendo nel corso della trasmissione radiofonica Direttora d’Aria, su radio Fantastica e Sestarete Tv – ma bisogna migliorare il modo di come è organizzata la distribuzione irrigua e per fare questo serve una riforma dei Consorzi di bonifica che finora non è stata fatta».
Barbagallo sposta l’attenzione anche al consumo domestico e potabile dell’acqua, un altro campo in cui la Sicilia spesso ha raggiunto punti tutt’altro che di eccellenza. «Anche in questo caso ci troviamo con reti carenti e il problema spesso non è solo legato alle poche risorse finanziarie, ma anche all’uso che viene fatto di queste – continua il direttore del Centro studi – Pensiamo, per esempio, alle reti fognarie e agli impianti di depurazione: la Sicilia è commissariata dal 2014 e, nonostante un miliardo di euro messo a disposizione dal governo nazionale, i problemi non sono stati risolti». Come molti cittadini provano periodicamente sulla propria pelle, i disservizi riguardano anche le erogazioni. E ciò avviene non solo nelle zone remote della regione, ma anche nei capoluoghi: a eccezione di Messina e Siracusa, in tutti gli altri il razionamento della risorsa idrica si è registrato. A Trapani e Agrigento si sono verificate le situazioni peggiori, con il razionamento che ha riguardato tutti i giorni dell’anno, costringendo gli abitanti a seguire le turnazioni disposte dalle amministrazioni locali. A Palermo, invece, nel 2020 per 183 giorni la distribuzione dell’acqua è stata sospesa su parti della città. Numeri anche più alti a Caltanissetta: 211, dei quali 197 di sospensione e 14 di riduzione delle erogazioni. Il razionamento ha interessato Ragusa per 75 giorni, mentre solo per sei giorni Catania. Poi c’è il caso di Enna, dove tra riduzione e sospensione sono stati 32 i giorni caratterizzati da disservizi, ma con la particolarità che i problemi hanno interessato contemporaneamente l’intero territorio comunale.
I tentativi di rimettere in piedi il settore passano anche dalle riforme normative. Da questo punto di vista, nei mesi scorsi ha fatto discutere un disegno di legge presentato dal governo Musumeci, che punta all’introduzione di un unico ambito regionale. «Andrebbe a sostituire quelli provinciali con l’intento di snellire le procedure legate ai bandi del Pnrr – ha commentato il deputato regionale del Movimento 5 stelle Giampiero Trizzino, anche lui intervenuto nel corso della trasmissione – Dobbiamo ricordarci che in Sicilia esiste una legge, la numero 19 del 2015, che è tra le prime in Italia ad avere recepito le scelte fatte dagli italiani con il referendum del 2011 sull’acqua pubblica. Quella legge introduce alcuni principi importanti: dal fatto che la distribuzione deve essere organizzata tenendo conto dei bisogni dei territori all’individuazione di una soglia minima di 50 litri al giorno che deve essere gratuita e garantita a ogni cittadino. Purtroppo – ha proseguito Trizzino, che è anche componente della commissione Ambiente all’Ars – l’attuale governance regionale non ha ancora applicato questa legge».
Il rapporto con le risorse idriche coinvolge anche l’aspetto culturale. Approcci che sono stati delineati nello studio Istat e che vedono la Sicilia tra le retrovie: nell’isola, per esempio, soltanto il 60 per cento della popolazione di età superiore a 14 anni si dichiara attenta a evitare lo spreco di acqua. La media a livello nazionale è del 66 per cento. Inoltre, si registra anche la minore fiducia verso l’acqua di rubinetto: ben il 59,9 per cento dichiara di avere timore a berla. «Quando parliamo di acqua paghiamo anche retaggi culturali – ha aggiunto Trizzino – In molti, ancora oggi, si rapportano a essa come a una fonte inesauribile, mentre i dati ci dicono che la situazione è completamente diversa. Serve essere parsimoniosi. Mentre per quanto riguarda l’uso alimentare, spesso si continua a preferire quella imbottigliata». Qualche buona notizia all’orizzonte c’è: «Pochi giorni fa abbiamo approvato una legge che consente il riuso delle acque reflue per usi irrigui, è un primo passo ma – conclude il deputato – la strada da fare resta ancora tanta».
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