Quindici licenziamenti. È questa la decisione presa dalla commissione disciplinare del Comune di Acireale nei confronti di parte dei dipendenti indagati nell’inchiesta Ghostbuster della procura di Catania, sui presunti casi di assenteismo. La misura riguarda i destinatari delle misure cautelari – tre arresti domiciliari e 12 obblighi di firma – emesse a febbraio. Un’indagine molto più estesa, che è stata chiusa negli scorsi giorni per altre quattro persone, mentre prosegue per altri 42 dipendenti, i cui nominativi per il momento non sono stati diffusi.
I licenziamenti seguono la direttrice annunciata dal sindaco Roberto Barbagallo all’indomani degli arresti. Da parte dell’amministrazione, tuttavia, non c’è stato per adesso alcun commento ufficiale. Ma la notizia, trapelata già ieri, è confermata dai legali di alcuni indagati. Che perdono il lavoro, dopo essere stati sospesi nei mesi scorsi, dopo che la commissione disciplinare – composta dal dirigente della polizia municipale Antonino Molino, dall’ex questore di Enna Salvatore Patanè (già dirigente della polizia ad Acireale)e dall’ex segretario comunale Antonino Alberti – ha reputato necessario estrometterli dal posto di lavoro.
La sanzione, prevista dalla riforma Brunetta del 2009 in casi di «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente», potrebbe tuttavia esporre il Comune a una serie di cause legali. È infatti probabile che i licenziati faranno ricorso al Tribunale del Lavoro per contestare la decisione, chiedendo il reintegro ed eventualmente anche i danni all’ente.
Tra le tesi difensive, infatti, potrebbe esserci il richiamo alla parte di legge in cui si sottolinea che «nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente» si può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. Caso, questo, che potrebbe essere richiamato dai legali dei dipendenti: infatti, a quanto pare, le registrazioni prese dalle telecamere nascoste installate dalla polizia non sarebbero state visionate dalla commissione disciplinare. Che, per decidere, si sarebbe attenuta esclusivamente al materiale fornito dalla procura.
Tra i presunti furbetti del tesserino era finito pure l’ex vigile urbano Mario Primavera. L’uomo era già noto agli ambienti giudiziari a causa di un’inchiesta risalente al 2003 sul clan mafioso dei Laudani. Durante l’indagine Glazier erano stati monitorati i rapporti del dipendente comunale con Sebastiano Nello Torrisi e Salvatore Tulletti. Entrambi, secondo gli inquirenti, appartenenti alla cosca.
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