Aci Trezza, i cavalli a dondolo del cantiere Rodolico «C’è poco lavoro, noi cerchiamo di fare il possibile»

Uscire dalla crisi in groppa a un cavalluccio a dondolo. Costruito con lo stesso legno con cui, da oltre un secolo, si fabbricano le barche. Il cantiere navale Rodolico di Aci Trezza non vive il suo periodo migliore, è noto. Per rimanere «in vita», il padre Salvatore e il figlio Giovanni hanno dovuto far fronte a spese terrificanti. Pochi anni fa, l’area su cui sorge il cantiere – che prima era demanio marittimo – è passata in carico al Comune. Frattanto, l’amministrazione di Aci Castello ha ricevuto una denuncia anonima, per occupazione abusiva di suolo pubblico e violazioni in materia di smaltimento dei rifiuti, contro gli ultimi maestri d’ascia del paese. E ha reagito infliggendo loro sanzioni salatissime, oltre che prescrizioni di adeguamento delle attrezzature da cui sono conseguite ulteriori spese. Così, Salvatore e Giovanni – ai quali fa compagnia il delizioso siberian husky Blasco – hanno deciso di differenziare la produzione. Ed ecco, per l’appunto, i primi cavallucci a dondolo per bambini

«C’è poco lavoro – ammette Salvatore Rodolico – quindi cerchiamo di darci da fare per il sostentamento del cantiere. Frattanto dobbiamo affrontare anche le difficoltà che abbiamo con il Comune. Che ci vuole mandare via». Nell’epoca di Auto cad, dei computer e della riproducibilità digitale, i Rodolico continuano a realizzare imbarcazioni a mano, come hanno sempre fatto nel volgere di cinque generazioni. Ma al di là della burocrazia, delle multe e delle normative a cui adeguarsi, la congiuntura non è buona. Il numero di pescherecci che va per mare diminuisce ogni anno. «Io – prosegue Salvatore – costruivo barche di grandi dimensioni, con commesse dalla Liguria, da Napoli, dalle isole Eolie, in generale da tutta la Sicilia. Ne realizzavamo sei ogni anno. Poi – ricorda l’artigiano – nel ’90 è uscita una legge che ha modificato il modo con cui la Marina mercantile fornisce il permesso di pesca, rendendolo più stringente». Così, gli ordini sono progressivamente diminuiti. 

«Ho intenzione di produrre anche degli husky di legno per bambini – aggiunge Giovanni mentre spupazza Blasco – stiamo cercando di fare il possibile per andare avanti. Io vivo qui e voglio continuare e lavorare qui, la mia famiglia si trova in questo posto da oltre cento anni». L’interno del cantiere è un piccolo gioiello parlante. Sembra quasi che ogni martello, ogni lama, ogni banco da lavoro, a un semplice tocco, possa animarsi per raccontare storie. La luce soffusa rende meno visibili i segni che decenni di lavoro hanno lasciato sulle mani di Giovanni e Salvatore. Su un banco è adagiato un cavalluccio ancora da rifinire. «Il primo – dice Rodolico padre – lo abbiamo regalato a una bambina. Ora ci è giunto un ordine da un cliente, per altri due esemplari».

Il cantiere è parte dell’identità trezzota. Dinnanzi alla crisi, sono stati in tanti a cercare di dare una mano, anche soltanto a esprimere solidarietà e far sentire un po’ di calore alla famiglia. Nella vita reale e sui social. Ma la realtà è davvero difficile. «Una volta che mi hanno levato ‘u travagghiu – si domanda il capo famiglia – come li dovrei pagare questi verbali? Per di più, quando scadrà la concessione (l’anno prossimo, ndr) potrebbero anche dirci di andare via». Qualche tempo fa, per onorare debiti e pagare multe, i Rodolico hanno richiesto un prestito bancario con ipoteca. Lo racconta Salvatore. «Ora non pazzu pavari mancu chistu – lamenta – e rischio perfino di perdere la casa». Quando gli si chiede del futuro, il maestro d’ascia scuote il capo e ripete più volte «ma se non c’è lavoro». Adesso, per il cantiere, la speranza è un cavalluccio a dondolo.  

Marco Militello

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