Aci Sant’Antonio, i dettagli dell’inchiesta sulla casa di cura Tra topi, scabbia e lavaggi con il detersivo della lavatrice

Mille euro al mese per avere le cimici nei materassi, rischiare di vedere passare topi per la stanza, essere insultati e lasciati sporchi di escrementi. Fino al punto di prendere la scabbia. All’interno della Villa San Camillo, la casa di cura di Aci Sant’Antonio finita al centro di un’indagine della procura di Catania, sarebbe accaduto un po’ di tutto. A registrarlo sono state le microspie installate dai carabinieri a ottobre dell’anno scorso. Sono bastate poche settimane per mettere in luce le condizioni in cui vivevano gli anziani. Circa una trentina quelli ospitati dalla struttura gestita da Giovanni Marchese, 60enne che ad Aci Sant’Antonio è conosciuto non solo per la professione di medico ma anche per esserne stato assessore nove anni fa.

Una settimana fa, quando è esploso lo scandalo che ha portato il tribunale di Catania a vietargli per un anno la gestione di case di riposto e a sospendere le operatrici Giovanna Coco, Rosaria Vasta e Alessandra Di Mauro, contattato da MeridioNews, Marchese si era difeso sostenendo di essere stato all’oscuro di tutto. Pur frequentando la struttura ogni giorno. «Sono stato sempre per il contatto umano, questa è la mia scuola», aveva detto il medico. Tuttavia dalle carte dell’inchiesta emergerebbe un quadro diverso, che ha portato il gip Carlo Cannella a sostenere che il suo operato si è contraddistinto per «l’assoluto disinteresse nella cura dei propri ospiti». La tesi poggia su una serie di casi concreti, che starà alla difesa di Marchese riuscire a smontare. Tra questi c’è il modo di gestire i numerosi casi di scabbia, malattia che ha origine dalle cattive condizioni igieniche ma che oggi può essere curata con facilità grazie a opportuni farmaci

Le creme, però, a novembre dello scorso anno, non ci sarebbero state. Ad affermarlo sono le stesse operatrici – undici in nero, alcune delle quali beneficiando del reddito di cittadinanza – che lavoravano nella Villa San Camillo. «Il dottore ha raccomandato di mettere l’olio», dice una donna alla collega. E fa riferimento a quello da cucina, «nonostante – sottolinea il gip – gli addetti alla mensa non fossero d’accordo». L’uso dell’olio d’oliva è tra i consigli che si trovano nei siti web che trattano di rimedi naturali per la scabbia, ma viene suggerito di mescolarlo con quello di melaleuca. Un albero australiano. La voce di Marchese viene registrata, invece, quando, innervosito dai lamenti di un ospite, dice alla propria dipendente: «U fati stari mutu stu pazzu? Datici na vastedda, n’pezzu di carni cruda, basta ca si sta mutu».

Ma il medico non sarebbe stato l’unico protagonista del generale contesto di squallore. Ad avere avuto un ruolo importante, secondo la pm, sarebbero state le lavoratrici. Nel cellulare sequestrato a Giovanna Coco – nell’ambito di un procedimento per una vicenda slegata dai fatti della casa di riposo – i carabinieri hanno trovato foto eloquenti: anziani nudi, a terra tra gli escrementi, bloccati a letto da sedie e divani, piaghe da decubito in stato avanzato. È dalla donna, difesa dall’avvocato Fabrizio Maugeri, che la procura si è mossa riuscendo a ricostruire la vicenda. E quello che ne è venuto fuori ha confermato ogni sospetto.

«Madonna, passau n’suggi ndo letti», dice una donna a una collega. «E che è a prima vota?», replica la seconda per nulla stupita. Per la procura, il trattamento riservato agli anziani sarebbe stato caratterizzato da continui soprusi e vessazioni. In un caso la vittima è un uomo di cento anni. «Maledetti, mi state ammazzando», si lamenta. Il commento di un’operatrice, un giorno in cui l’uomo è accusato di impiegare troppo tempo per fare i bisogni, è netto: «Mi dovete sparare, se divento così». In un altro caso, quando la figlia di una signora ospitata nella casa di cura al telefono si lamenta delle condizioni in cui la madre viene tenuta, l’operatrice, dopo avere chiuso la conversazione, va da Marchese rivelandogli di non avere detto alla donna che l’anziana era caduta dal letto. E suggerendo al medico di dire, casomai, che si era ferita mentre dormiva. Davanti alla minaccia di un ospite di andare in giro a raccontare come andavano le cose nella villa, il medico dice a una sua dipendente di non preoccuparsi: nessuno avrebbe creduto a un vecchio. 

Accanto alle minacce, infine, trovava spazio anche l’ilarità. La mattina del 14 novembre 2019, un uomo deve fare il bagno. Alessandra Di Mauro, una delle lavoratrici indagate, rivolgendosi a una collega dice: «Prendi un pochino di sapone per i piatti, ma non ti fare vedere». Il sapone non c’è, e si opta per quello usato per la lavatrice. «Fai un odore di aloe vera…», commentano le due, prendendolo in giro. 

Simone Olivelli

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