Accordo infame tra mafia e Stato?

Entra in scena la trattativa nel processo contro l’ex generale del Reparto operativo speciale dei carabinieri (Ros) Mario Mori, accusato insieme al colonnello, sempre dell’Arma, Mauro Obinu, di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Fino ad ora il patto segreto tra ‘pezzi’ dello Stato e la mafia si è sempre soltanto intravisto sullo sfondo del procedimento in corso dal 2007. Ieri mattina però è entrato formalmente nel dibattimento. L’accusa – rappresentata in aula dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Antonio Ingroia, e dal sostituto, Nino Di Matteo – ha infatti contestato nuove aggravanti ai due carabinieri, sotto processo dal 2007 per la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995.

Secondo i giudici palermitani, Mori non avrebbe volutamente arrestato il boss corleonese “per assicurare a sé e ad altri il prodotto dei reati di cui agli articoli 338, 339, 110 e 416 bis, per i quali si procede separatamente”. In pratica, il procedimento è stato incrociato con l’indagine, ancora in corso, sulla trattativa che vede indagati dalla procura di Palermo sia il colonnello del Ros che il suo braccio destro Giuseppe De Donno per attentato a corpo politico dello Stato, più i boss mafiosi Totò Riina, Bernardo Provenzano e Nino Cinà che, insieme ad altri soggetti – i cui nomi sono tuttora coperti da segreto – sono accusati di associazione mafiosa.

Secondo l’accusa, quindi, in cambio della cessazione della strategia stragista sarebbero stati garantiti da ‘pezzi’ dello Stato benefici di varia natura a Cosa Nostra. E la stessa latitanza di Provenzano – garantita anche dal fallito blitz di Mezzojuso – sarebbe stata possibile proprio perché il boss era il garante mafioso dell’accordo tra l’associazione criminale e rappresentanti dello Stato. I giudici palermitani hanno poi contestato sia a Mori che ad Obinu l’aggravante di aver commesso il fatto violando i doveri relativi alla pubblica funzione che ricoprivano.

Ingroia e Di Matteo hanno poi annunciato la deposizione di alcuni atti della commissione parlamentare antimafia. I giudici hanno inoltre depositato i verbali con le dichiarazioni di Sebastiano Ardita, ex capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. Il magistrato catanese, che sarà citato come teste dell’accusa, è l’autore del libro “Ricatto allo Stato” in cui ha raccontato alcuni episodi inquietanti di cui è venuto a conoscenza durante il suo periodo alla guida del Dap.

I magistrati palermitani hanno anche comunicato alla corte presieduta dal giudice Mario Fontana l’intenzione di depositare le dichiarazioni di Agnese Piraino Leto, moglie di Paolo Borsellino, ai magistrati della Dda di Caltanissetta. La vedova del giudice ucciso nella strage di via d’Amelio il 19 luglio 1992 ha raccontato ai pm nisseni delle confidenze ricevute dal marito poco prima di morire. Tra le altre cose, nel giugno del 1992 Borsellino riferì alla moglie di essere a conoscenza di colloqui in atto tra Cosa Nostra e ‘pezzi’ dello Stato. Un elemento che accrediterebbe ancor di più l’ipotesi degl’inquirenti.

 

Giuseppe Pipitone

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