«Forse ho ucciso mia moglie». Una telefonata secca al 113 poco dopo le 14 di domenica 10 maggio 2015: nell’altra stanza c’è il corpo della compagna, madre dei suoi due figli, che da poco aveva accettato di tornare con lui dopo quasi otto mesi di allontanamento. Lei (M. C.) è sopravvissuta; lui (G. M.), 53 anni, nel primo pomeriggio di oggi è stato condannato, in primo grado, a sette anni di carcere per avere tentato di ucciderla. A pronunciare la sentenza, in un’aula piena di parenti e amiche della vittima, la giudice Maria Pia Urso. Mentre la magistrata parla, lui e lei sono in piedi a pochi metri di distanza, separati dai rispettivi avvocati e dal pubblico ministero. Alla pena di sette anni – dei quali due già scontati – si aggiungono le sanzioni accessorie: l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la sospensione della potestà genitoriale. La procuratrice Agata Consoli, che ha seguito l’inchiesta, aveva chiesto per l’aggressore la condanna a 14 anni, considerati anche i futili motivi.
L’accoltellamento è avvenuto più di due anni fa, in un’abitazione nella municipalità Ognina-Picanello. Dove lei, dipendente amministrativa in ambito sanitario, viveva con i due figli avuti dal legame con lui, imprenditore del settore dell’arredamento. I problemi nella coppia erano cominciati tempo prima, e avrebbero avuto a che fare con una relazione extraconiugale di lunga data intavolata da lui. Gli screzi sarebbero continuati e, secondo la difesa dell’uomo nel corso del processo (sostenuta dall’avvocato Fabio Maugeri) sarebbero stati causati da profonde incomprensioni. Che avrebbero riguardato, per esempio, la scelta della donna di partire per assistere a concerti anche senza il compagno. Per poco meno di un anno la coppia aveva deciso di condurre vite separate, finché le cose non avevano cominciato ad aggiustarsi.
All’inizio di maggio di due anni fa la relazione era ripresa con regolarità. A sancire il rinsaldato legame una gita a Giardini Naxos, nel corso della quale comincia la lite che sfocia nel tentato delitto. Secondo una ricostruzione, lui si allontana per un po’ e lei prova a chiamarlo, ma trova il cellulare occupato. Al ritorno del consorte, lei gli avrebbe domandato di vedere l’elenco delle telefonate e, preso in mano lo smartphone del compagno, si sarebbe imbattuta in messaggi e registrazioni audio (scambiati tramite l’applicazione WhatsApp) che avrebbero lasciato intendere una relazione extraconiugale ancora attiva. La riposta dell’uomo alle accuse sarebbe uno schiaffo in pieno viso, dato in pubblico. La discussione si sarebbe protratta anche in automobile, nel viaggio di ritorno verso il capoluogo etneo.
All’arrivo a casa, la donna gli avrebbe chiesto di prendere le sue cose e andare di nuovo via dall’appartamento. La reiterazione di quel tradimento, già perdonato in passato, non sarebbe stata accettabile. Si sarebbe voltata un attimo per andare in un’altra stanza e, girandosi, ha visto lui con un coltello in mano, preso dal ceppo che tenevano in cucina. A raccontare il seguito non sono solo le cronache ma anche le cicatrici: una sul collo, da una parte all’altra. E poi un’altra sulla nuca, attorno alla quale i capelli sono più radi di prima. La donna, appena 40enne, è stata accoltellata per tre volte, mentre la testa le è stata ripetutamente sbattuta sul pavimento. I soccorritori, arrivati dopo le telefonate di lui alle forze dell’ordine, hanno raccontato di averla trovata riversa in una grossa pozza di sangue.
Le condizioni della vittima sono state disperate per ore, finché – il giorno dopo l’aggressione, all’ospedale Cannizzaro – ha riaperto gli occhi e visto sua madre e sua sorella. «La pena è stata decisa dal tribunale, per cui non c’è molto da dire – commenta l’avvocato Francesco Marchese -. Non sappiamo se il pubblico ministero abbia intenzione di presentare Appello dopo che saranno depositate le motivazioni. Nessuno voleva vendetta, volevamo giustizia e la giustizia pensiamo di averla ottenuta: quello che è successo non cambia, dieci anni o sette non fa la differenza. Lui comunque, stando così le cose, andrà in carcere». Fuori dall’aula chi le è vicino si stringe intorno alla donna. Ancora una volta a pochi metri, lui scende la scalinata del tribunale di piazza Verga e va via.
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