Una riforma che porta certamente una grande novità, ma che al momento manca di alcuni elementi di concretezza. L’11 marzo la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge che prevede l’abolizione del numero chiuso a Medicina. La nuova legge entrerà in vigore già nell’anno accademico 2025/2026, quindi gli atenei avranno pochi mesi per adeguarsi alla riforma, soprattutto dal punto di vista logistico e dell’erogazione delle lezioni: il numero di studenti, infatti, sarà molto maggiore rispetto a quello attuale. Questa condizione, però, durerà solo per i primi sei mesi, il periodo che la riforma definisce semestre-filtro. In verità, infatti, l’abolizione del numero chiuso a Medicina non è totale. Dopo i primi sei mesi di lezioni – a cui si potrà partecipare senza limiti di numero – ci sarà un esame identico per tutti gli atenei a livello nazionale; questo scremerà di più o meno tre quarti il numero di chi potrà continuare a frequentare Medicina, ma anche Odontoiatria e Veterinaria, che sono anche loro interessate dalla riforma. Le questioni da chiarire, comunque, sono molte e di diversa natura.
«Ci sono forti dubbi, perché il numero chiuso è abolito all’ingresso, ma l’imbuto lo si troverà qualche mese dopo», dice a MeridioNews il professore Marcello Ciaccio, presidente della Scuola di Medicina dell’Università di Palermo. Ciaccio spiega che dopo il semestre-filtro «gli studenti dovranno superare esami su tre insegnamenti – chimica, fisica e biologia – che avranno programmi uguali in tutte le Scuole di Medicina italiane». Questo perché «verrà stilata una graduatoria nazionale – aggiunge il docente – che permetterà l’accesso ai singoli corsi di laurea delle università sempre in base a un numero limitato di posti, che sarà indicato dal ministero dell’Università, una volta sentito il ministero della Salute». A questo punto la questione è anche un’altra: oltre a eliminare il test d’ingresso e a introdurre una sorta di semestre di prova, la riforma aumenta effettivamente i posti nelle Scuole di Medicina?
«Pare che i posti saranno di più rispetto agli anni passati, ma ancora non sappiamo di preciso quanti di più», dice sempre Ciaccio al nostro giornale. La ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, parla di «30mila studenti in più di qui ai prossimi anni», ma la dichiarazione è un po’ vaga. Il punto che più sta interrogando gli addetti ai lavori, comunque, è quello logistico. «Con i colleghi e con le altre università – continua il presidente della Scuola di Medicina di Unipa – dobbiamo anche confrontarci su come, durante il semestre-filtro, potremo erogare le lezioni a un numero così tanto più grande di studenti rispetto al solito». Preoccupazione condivisa anche dai professori Pietro Castellino e Carmelo Romeo, presidenti rispettivamente della Scuola di Medicina dell’Università di Catania e di quella dell’Università di Messina. Tutt’e tre sembrano abbastanza concordi su una cosa: non tutti gli studenti potranno fare lezione in presenza, ma si dovrà ricorrere alla didattica online, come durante la pandemia. «A brevissimo – ci dice Castellino – avremo una riunione con i presidenti dei corsi di laurea e con la Conferenza dei presidenti delle facoltà di Medicina, così da fare il punto sulle modalità e sui futuri passaggi da intraprendere per applicare la legge, perché ancora non sappiamo bene cosa fare e come si struttureranno le cose». Infatti se è vero che la proposta di riforma è diventata legge, è altrettanto vero che mancano ancora i decreti attuativi, gli strumenti legislativi che permettono a una nuova legge di essere applicata.
«Vedremo come si evolveranno le cose – dice a MeridioNews il messinese Romeo – ma le perplessità ci sono e già in passato le avevamo espresse con alcune note». Le criticità a cui allude il presidente (uscente) della Scuola di Medicina di Unime sono legate «ai numeri, alle aule», ma anche alla questione del numero chiuso in sé. «Il rischio – dice il docente – è che il problema lo si sposti avanti di qualche mese, ma che comunque resti». Secondo il catanese Castellino, però, un vantaggio chiaro questa riforma lo porta: «Un candidato o una candidata non si giocano il loro futuro in un’ora e un quarto di test d’ingresso, ma hanno la possibilità di studiare per sei mesi alcune materie attinenti». Ciaccio, da Palermo, fa notare anche che «ancora non sappiamo quali sono le modalità di valutazione degli studenti». Anche su questo ci si augura che a fare chiarezza siano i decreti attuativi o le circolari del ministero dell’Università. Un ultimo elemento, ma per nulla secondario: cosa succederà a chi non passerà il primo semestre?
Avrà la possibilità di farsi convalidare i cfu, cioè i crediti formativi universitari, in corsi di laurea affini – Infermieristica o Biologia, per esempio – ma secondo il presidente della Scuola di Medicina di Unipa questo punto potrebbe nascondere un effetto negativo. «Infermieristica non è una Medicina di serie B – dice Ciaccio – Per me questo meccanismo rischia di rendere vano il tentativo che abbiamo fatto di dare dignità al corso di laurea in Infermieristica. Gli studenti potrebbero anche sentirsi declassati e forse non motivati». Ma la nuova legge prevede anche che se non si supera il semestre-filtro, si può tentare di nuovo l’anno successivo. Ora, negli ultimi cinque anni hanno provato a entrare a Medicina, a Odontoiatria e a Veterinaria una media di circa 60mila persone, ma i posti c’erano solo per un quarto di loro. Vedremo di quanto il ministero aumenterà i posti per queste facoltà, ma c’è comunque da considerare che ogni anno alle circa 60mila persone che si presenteranno per la prima volta a Medicina ci sarà da aggiungere una cifra consistente di studenti, quelli e quelle che vorranno riprovare perché non avranno voluto ripiegare su Infermieristica o su Biologia. E questo rischia di far aumentare i numeri ancora di più.
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