«La vertenza si fonda sull’articolo uno della Costituzione, perché
l’Italia è fondata sul lavoro e non sul commercio». È così che il legale Dario Pruiti ha spiegato il motivo che ha spinto a impugnare il licenziamento una quarantina di lavoratori della piattaforma logistica che il gruppo Roberto Abate spa, dal 2011, ha affidato con una cessione del ramo d’azienda alla Ltm Di Martino. «Abbiamo appreso della notizia del nostro possibile licenziamento con un lapidario messaggio su Whatsapp che ci è stato inviato lo scorso 31 dicembre», spiega Riccardo Messina, uno degli ex dipendenti. La lettera è poi arrivata con una decorrenza di appena sei giorni rispetto alla prima comunicazione. «C’è qualcosa di strano – sostengono i lavoratori – nei tempi in cui è successo tutto questo».
Circa 40 lavoratori, molti dei quali con esperienza ventennale nel settore, sono finiti vittima di controversie commerciali tra i due gruppi. «Noi riteniamo che entrambi siano responsabili tanto giuridicamente quanto moralmente della sorte incerta in cui oggi ci troviamo noi e le nostre famiglie», spiega Salvo Scarlata, uno dei lavoratori che adesso ha deciso di procedere per vie legali con il supporto dello Sportello contro lo sfruttamento di Potere al popolo di Catania. «Siamo stati fagocitati da un gioco commerciale tra aziende colossali – continua – Non vogliamo indennizzi o pietà ma solo la dignità del nostro lavoro, visto che le possibilità di riassorbimento ci sono ma le aziende stanno tentando di sostituirci con giovani delle cooperative che accettano di lavorare a cottimo e vengono pagati meno rispetto a noi». Durante l’incontro organizzato al centro popolare occupato Colapesce di via Cristoforo Colombo gli ex dipendenti fanno appello «a tutte le aziende coinvolte di permetterci di rientrare a lavorare con proposte di contratti che non siano massacranti per noi operai».
«È una situazione schifosa – dichiara senza mezzi termini Lorenzo Mirabella dello Sportello contro lo sfruttamento – perché questi lavoratori si sono ritrovati letteralmente in mezzo a una strada per motivi speculativi. I colossi pensano a guadagnare di più sulla pelle dei lavoratori – aggiunge – preferendo assumere dipendenti più ricattabili che accettano di lavorare in grigio, per esempio prolungando il tempo di lavoro oltre quello regolarmente retribuito». Quello che, finora, è stato riconosciuto agli ex dipendenti è un risarcimento per il danno di perdita di chance in seguito al licenziamento collettivo avviato dall’azienda Ltm Di Martino. «È stato prodotto un danno patrimoniale ai lavoratori che sono stati esclusi – afferma l’avvocato Pruiti – che è stato riconosciuto con un importo (di cinquemila euro, ndr) sulla cui congruità possiamo discutere. Il punto principale resta che, nelle operazioni di trasferimento del ramo d’azienda, i lavoratori avrebbero dovuto essere tutelati».
Intanto, lo scorso 1 marzo la sezione fallimentare del tribunale di Catania ha disposto il sequestro del patrimonio della Roberto Abate spa e preso in esame la richiesta di fallimento del gruppo avanzata dai pubblici ministeri Fabio Regolo, Fabrizio Aliotta e Rosaria Molè. Il tutto avviene dopo che, come raccontato da MeridioNews, il gruppo Abate spa ha presentato una richiesta di ammissione al concordato preventivo, un modo per ripianare una situazione debitoria sotto il controllo dell’amministrazione giudiziaria. In base a quanto verificato dalla procura, però, le disponibilità liquide risulterebbero troppo basse (oltre 900mila euro) visti gli introiti derivanti dalla vendita del centro commerciale Etnapolis (adesso della banca d’affari statunitense Morgan Stanley) e della maggior parte dei supermercati a Ergon, gruppo Arena e gruppo Rocchetta. Nei confronti del gruppo Abate sarebbero state avanzate nove richieste di fallimento. A vigilare sull’intera società per azioni, per anni, è stato il collegio dei sindaci composto interamente da professionisti dello studio di Antonio Pogliese, padre del sindaco di Catania Salvo Pogliese, che nelle scorse settimane è finito agli arresti domiciliari, insieme a diversi suoi collaboratori, nell’ambito dell’operazione Pupi di pezza.
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