«Non sono così convinta che i sintomi di Diana siano tutti dovuti alla microdelezione del cromosoma, la bambina deve essere rivalutata». È con queste parole che la dottoressa Maria Piccione, responsabile del reparto di malattie genetiche dell’ospedale Cervello, ha riacceso le speranze di Valeria Scozzari, mamma di una bimba di nemmeno tre anni affetta da una patologia rara non diagnosticata, che ha puntato il dito nei giorni scorsi contro la mancanza di un concreto iter diagnostico e di una seria presa in carico del caso della figlia. Dopo aver fatto rumore, mettendo in circolo la storia di Diana consegnandola ai media, ecco che qualcosa comincia a muoversi. «Abbiamo un appuntamento extra ambulatorio per mercoledì alle due», dice la madre. Un punto di partenza importantissimo, ma che le strappa anche una riflessione amara: «Non è così che dovrebbero andare le cose, non si dovrebbe essere costretti a rivolgersi ai media per essere seguiti».
Quante sono le altre storie, gli altri casi, gli altri bambini, le altre malattie rare che restano lontano dai riflettori delle cronache? Probabilmente moltissimi. «Penso che per tre anni sono stata a fare la persona educata, di quelle che non vuole rompere sempre le scatole e lamentarsi – racconta – Invece non è servito ad avere maggiore attenzione, anzi semmai è servito a fare stare tutti più tranquilli perché appunto ero quella che non dava fastidio. Ma a volte ci vuole risolutezza e arriva il momento di fare casino». E ha intenzione di continuare per questa via, mamma Valeria, che nel giro di pochi giorni con la sua tenacia e lucidità ha già ottenuto dei risultati tangibili. «Per Diana ambisco alla presa in carico da parte di strutture sicuramente più adeguate e più affidabili», spiega ancora. E la mobilitazione di amici e conoscenti adesso l’ha anche messa in contatto con una psicologa del Bambin Gesù di Roma, che si è offerta di spendersi per sensibilizzare e incentivare una qualche risposta da parte dell’ospedale. Nel frattempo, la pediatra che segue Diana ha avviato la pratica per chiedere la presa in carico della bambina a Pozzuoli, dove c’è l’Istituto di malattie rare gestito da Thelethon, un’eccellenza in questo settore.
«Si è smossa anche una grandissima macchina di contatti privati attraverso la pagina Facebook che ho creato, Se non sono rare non ci piacciono, dove gli utenti hanno cominciato a segnalarmi tantissime strutture di cui io non sapevo nemmeno l’esistenza – continua ancora Valeria – Mi hanno parlato, per esempio, del Centro Nemo, una struttura che non conoscevo e che pare sia un’eccellenza nel campo delle patologie neuromuscolari, con diverse sedi in Italia, una si trova a Messina. Sto scoprendo l’esistenza di posti di cui nessuno mi aveva mai parlato, nessuno dei dottori né degli ospedali che ha avuto in cura Diana mi ha mai prospettato una serie di altre alternative». Una storia, questa, da adesso fatta anche di solidarietà, non solo di attese e non lo so. E, soprattutto, di attenzioni concrete, quelle di cui ogni storia ha diritto.
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