Caustica, blasfema, irriguardosa, aggressiva. Gli aggettivi per la stand-up comedy di Giorgio Montanini in fondo sono sempre gli stessi. Tutti aderenti al reale, certamente, ma per avere il reale impatto della stand-up comedy (la satira fatta in piedi, stand-up appunto, con l’artista al centro della scena e “armato” soltanto di un microfono, senza altri trucchi comici) non c’è altra soluzione che provarla dal vivo. È quel che è successo ieri sera allo Spazio Franco, l’ultimo dei capannoni riaperti ai Cantieri Culturali della Zisa, con la comicità urticante di Giorgio Montanini. E l’introduzione del collega palermitano Emanuele Pantano.
Non sono molti gli spettacoli dove anche il pubblico viene attaccato e preso in giro. Montanini lo ha fatto con pervicacia, senza mollare la preda. Marchigiano, in più di un’ora e mezza di spettacolo che ha visto anche parecchia improvvisazione («a teatro ti sparano se fai una cosa così, qui c’era un’atmosfera più da club»), Montanini ha affrontato temi caldi e spinosi con battute corrosive: la religione («e se da morti scoprissimo che Dio non esiste e invece Allah sì?»), la sborra («alla fine torna sempre, sborra eravamo e sborra torneremo»), anche l’aeroporto di Punta Raisi («ve ne siete accorti che c’è una cazzo di montagna, vero?») e la mafia («con i siciliani col cazzo che ce scherzo, convivono con la mafia come io convivo con l’allergia ai pollini»), la tv. A partire dalla chiusura, dopo solo tre puntate, del Giudizio Universale, lo spazio che il programma di Italia 1 gli aveva creato su misura. Per usare il linguaggio di Montanini: ti brucia il culo? «Per me è la certificazione di un fallimento, perchè non si può confezionare un prodotto in cui non c’è trucco. La comicità è meritocratica. Quando arrivano i Beatles, inutile mettere una fascia rockettara a Nilla Pizzi e faje imbraccia’ una chitarra elettrica, quando arrivano i Beatles Nilla Pizzi smette di cantare. Hanno chiuso Zelig, Made in Sud, il cambiamento è culturale».
Resta il fatto che Montanini in tv dura come una sveltina. Lo racconta lui stesso anche allo spettacolo. «La mia parentesi in Mediaset s’è aperta e chiusa nel giro di tre settimane, e tre monologhi (sono durato meno di Papa Luciani). Mi fregio di essere stato l’ultimo comico ufficiale della copertina satirica di Ballarò: anni di Crozza e andava tutto bene (non a caso), poi sono arrivato io e in due settimane … tac, chiusa per sempre». La stand up comedy insomma è destinata a soccombere quando viene fagocitata dalla tv?
«Duro come una sveltina ma poi sono cinque anni che faccio tv. Ho offerte da altre televisioni. La tv è un mezzo, non è l’obiettivo. Io invece voglio fare questo (la stand-up comedy … ndr): se me lo fanno fare in tv bene, ma sono io che la do la possibilità a loro e non viceversa. La media di chi guarda la tv è 70 anni. Se loro non colgono questa occasione e non si svecchia la tv, il mezzo è destinato a morire». Quando poi la tv ha la possibilità di accostarsi a nuovi tipi di linguaggi, chè poi risultano tali solo qui in Italia, l’unica capacità che ha è di cannibalizzare. È il caso del Saturday Night Live, che ripropone – in maniera penosa, con un imbarazzante Claudio Bisio – uno degli storici programmi Usa. «È l’ennesimo tentativo all’italiana di fare una cosa bella ma ricrearla per gli italiani perchè agli italiani piace così. Non è vero. I 40enni la tv non la guardano, non ce l’hanno più. E i giovani sono quelli che decreteranno la fine della tv».
Un altro degli obiettivi dichiarati di Montanini, da anni, è Maurizio Crozza – ritenuto l’unico esempio di satira in tv. Sì, una satira al bromuro, se paragonata a quella di Montanini che comincia il suo spettacolo raccontando della denuncia per blasfemia ricevuta dopo uno spettacolo a Urbino. «La comicità di Crozza è fascista e reazionaria, perchè deresponsabilizza il pubblico. Prende a riferimento un politico quando questo invece viene votato. Come fai a fare un monologo su Renzi?».
Uno così, insomma, capace di attaccare un presunto intoccabile della satira ha un’alta stima di se. O forse no. «Sembro un genio perchè è la concorrenza a essere miserabile». Anche quando deve fare un apprezzamento, o comunque prendere atto di qualcosa come la folta schiera dei comici locali che preferiscono lo smodato uso del dialetto, Montanini è diretto come un uppercut. «Palermo, come Napoli, ha dei connotati provinciali. Intendiamoci, la comicità territoriale da sala è sacrosanta ma non deve elevarsi a comicità nazionale da prima serata, come Zelig o Made in Sud. Quella è una bestemmia».
Sulla Sicilia, infine, Montanini non teme di essere impopolare. «Da marchigiano avrei difficoltà a vivere qui. Vengo da una cultura diversa, che non concepisce la prevaricazione su tutto. Qui l’odore della mafia si sente. Ci saranno sì della realtà che si oppongono, lo so, ma se fossero la maggioranza la mafia non ci sarebbe». Al netto della bellezza e dell’accoglienza isolana («quando vengo qui non me ne vorrei andare più»), la Sicilia resta una terra difficile in cui «si sta meglio da ospiti. Ma è chiaro che i siciliani sono vittime dello Stato. Dove ci sta la repressione, però, c’è tanta ribellione».
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