Anche quest’anno la SIS (Società Italiana delle Storiche) organizza l’ormai tradizionale scuola estiva, un appuntamento strutturato in cinque giorni di lezioni, seminari e laboratori sulla storia di genere, per il 2009 dedicato al tema “Secondo natura/Contro natura. Corpi contesi tra sfera pubblica e relazioni di genere”. Emma Baeri, socia fondatrice della Società Italiana delle Storiche, ha risposto ad alcune domande sulla natura e le caratteristiche di questa esperienza.
Come nacque l’idea della scuola estiva della Società delle storiche?
“Quando nell’aprile del 1989 si costituì formalmente la “Società Italiana delle Storiche”, il primo e immediato pensiero fu quello di come trasmettere alle nuove generazioni l’esperienza di un punto di vista differente sulla storia. La SIS non era solo un’organizzazione professionale e scientifica, ma il frutto di una generazione politica. Politica perché composta da donne che avevano vissuto il Femminismo e che sentivano l’esigenza di tradurne il patrimonio di esperienza in un nuovo punto di vista. L’idea della scuola estiva fu portata avanti da Annarita Buttafuoco, la quale aveva anche le relazioni giuste perché il progetto andasse in porto: era stato scelto come luogo, tra le varie proposte, la Certosa di Pontignano, in dotazione all’Università di Siena presso cui Annarita insegnava. Si creò, quindi, un circuito virtuoso che ci permise già nell’estate dell’anno successivo, il 1990, di essere in grado di organizzare la prima edizione”.
Com’era organizzata la scuola dal punto di vista didattico?
“La scuola nacque con delle caratteristiche peculiari, provenienti direttamente dall’esperienza politica del Femminismo: una scuola separatista. Il separatismo era stata, infatti, un’esperienza fondante il Femminismo. Soltanto una riflessione al riparo, artificioso quanto si vuole, da uno sguardo maschile, aveva consentito al Movimento di produrre un sapere differente. Inizialmente la scuola estiva durava due settimane, con temi diversi. Un gruppo di docenti organizzava nel corso dell’anno un progetto didattico che avesse come destinatarie le partecipanti, che allora non erano tutte studentesse. Alla sua nascita la scuola si rivolgeva, infatti, sia alle studentesse, che a quante fossero interessate alla storia e all’approfondimento di alcuni temi in quel contesto separatista”.
Fino a che punto una scuola “per sole donne” è riuscita a realizzare l’aspirazione a una didattica totalmente alternativa?
“Il clima politico e culturale degli inizi era completamente diverso da quello che io stessa ho vissuto quando, molto più in là negli anni, la scuola ha cambiato carattere. Era un clima in cui il pensiero nasceva anche dallo stesso stare insieme: la riflessione sull’oggetto indagato si arricchiva, infatti, dello scambio emotivo. Per esempio nel 1990, ho sentito il bisogno di iscrivermi come corsista. Le mie colleghe si stupirono di questa scelta. Ma per me era importante, dopo aver progettato insieme alle altre la scuola, sperimentare l’altro punto di vista: sia per voglia di apprendere, sia per non assumermi sempre e comunque la responsabilità dell’insegnamento; poi – devo ammetterlo – perché ero spinta dalla curiosità di vedere come insegnavano le mie colleghe. E a tal proposito trovai subito da ridire! La questione che la scuola estiva poneva, ma non ha saputo risolvere, era come inventare e sperimentare una didattica differente. Una scuola che nasce per desiderio di una Società delle Storiche, radicata nel Movimento Femminista come metodo e come ispirazione, come si pone di fronte alla trasmissione del sapere? Deve far valere questa radice nella didattica, o la didattica è immutata?
L’evento imprevisto di questo soggetto di conoscenza femminile/femminista, la cui differenza consiste nel fatto che parte da sé quando parla, che definisce la parzialità come orizzonte del proprio parlare e quindi non parla per assoluti, né in modo neutrale, né in maniera generica, ma assumendo la corporeità del soggetto come una qualità di questo sguardo sulla storia, riguarda la didattica, oppure no? Secondo me e secondo alcune sì. Non a caso durante il primo convegno della Società Italiana delle Storiche, che si svolse alla fine dello stesso 1989 con il titolo “Discutendo di storia”, nacque da un gruppo di insegnanti di scuola elementare e media insieme ad alcune docenti universitarie, io e Paola Di Cori, la commissione didattica della Società.
Ma la scuola estiva ha riproposto la differenza ancora una volta nell’oggetto di ricerca più che nei soggetti che insegnavano e apprendevano, anche se poi lo stare insieme in questo spazio separatista attivava delle dinamiche relazionali in cui la soggettività veniva fuori in altri modi”.
Diciannove anni non sono pochi. La scuola si è mantenuta fedele al progetto originario, o ha in qualche modo cambiato obiettivi e struttura?
“Strada facendo la scuola si è modificata. Pian piano la presenza delle studentesse è diventata sempre più forte e ciò è avvenuto quando, tra i partner, è stato incluso il Dottorato di ricerca in “Storia delle Scritture Femminili” dell’Università La Sapienza di Roma, col suo bagaglio di studentesse e dottorande fornite di una domanda di sapere molto più disciplinata e specifica. Mentre una classe “mista” come quelle iniziali era aperta e molto dinamica, le ragazze che formano le nuove classi chiedono strumenti da utilizzare nel loro percorso di studi.
Contano d’altra parte questioni generazionali. Da un lato molte delle ragazze non sanno cos’è stato il Femminismo, o non avvertono il bisogno di riproporre sul piano della conoscenza storica i metodi suggeriti da quell’esperienza politica. Dall’altro c’è forse una certa reticenza da parte delle docenti, già femministe, a mettersi in gioco continuando a sperimentare una didattica basata su quella pratica politica. In breve, si è assistito ad una progressiva professionalizzazione della Scuola, per cui si è sempre più parlato di “Storia delle Donne,” Storia di Genere”, dimenticando la questione della soggettività nella ricerca e nella didattica. Voglio qui ricordare che già sul nome della Società vi furono dei conflitti. Alcune volevano chiamarla “Associazione di Storia delle Donne”, altre” Società Italiana delle Storiche”; le prime ponendo l’accento sull’oggetto di studio, le altre sul soggetto.
Quella battaglia la vincemmo. Dopo la morte di Annarita Buttafuoco, la triade organizzatrice ha vissuto un momento di crisi di relazioni che ha portato alla separazione da Pontignano, dove per qualche anno ancora è stata organizzata una piccola scuola intitolata ad Annarita, che credo non ci sia più. Si è poi trovato un contatto con il Centro studi Cisl e dal 2004 la Scuola viene organizzata a Fiesole. Non si è trattato di un semplice trasferimento: nel frattempo la Società Italiana delle Storiche ha preso un po’ le distanze dal Femminismo, portandolo ad essere sempre più un oggetto di studio che non una rivoluzione politica ed epistemologica”.
Cosa ne pensa della novità della presenza maschile?
A partire dal 2004 i corsi sono stati aperti agli studenti maschi. Dal mio punto di vista spezzando il clima che era stato ideato, perchè essendo io una femminista incallita sono convinta che il separatismo serva a pensare l’impensato; e che quindi la creazione di questi luoghi artificiali, in cui parlare rompendo le corazze e le maschere che la cultura ha stratificato anche in noi, sia fondamentale. Se c’è anche un uomo, per quanto timido e civile, la sua presenza ricompone il contesto culturale tradizionale, perché ripresenta simbolicamente quello sguardo. Per esempio quando il discorso cade sulla sessualità, s’innescano immediatamente dei freni, anche inconsciamente, che interrompono la fluidità della comunicazione tra donne, che si è data sempre la libertà di parlare di tutto, se si sceglie di parlare di tutto. Adesso sono stati ammessi anche docenti uomini. Faranno certamente lezioni interessanti, ma il progetto iniziale della Scuola, che prevedeva che fosse la soggettività a dover parlare, sia nella ricerca che nella didattica, è completamente scomparso. Si riproducono, seppure con contenuti di genere, le dinamiche culturali e sociali tradizionali.
Perché la storia delle donne sarebbe incompatibile coi contributi maschili?
“Penso che nel guardare la storia con un occhio diverso ci siano vari livelli di differenza da indagare. C’è la storia delle donne come oggetto di ricerca, che le donne studiano sicuramente meglio perchè qui subentra un’empatia, come dice Eleni Varikas, tra chi studia e l’oggetto-soggetto studiato; c’è la storia di genere, che riguarda l’analisi e la decostruzione dei modelli culturali che definiscono l’essere donna e l’essere uomo in una data società e in un dato tempo, e questo è a mio modo di vedere il terreno di scambio in cui ciascuno può portare la propria esperienza di donna e di uomo. C’è infine la soggettività di chi fa ricerca. Se essa viene nuovamente affogata, come è sempre stato, nel neutro, si rischia di perdere l’imprevisto del soggetto. E secondo me è quello che accade quando in una scuola di storia delle donne ci sono dei docenti uomini. Dico questo sulla base della mia personale esperienza di silenzio nei luoghi “misti”. Mi riferisco ad esempio agli anni di in cui facevo politica all’Unione Goliardica Catanese, un’associazione laica attiva dal dopoguerra agli anni Sessanta. Durante i “consigli di goliardia” non parlavo mai perchè immediatamente scattavano in me due possibilità: o dicevo quello che pensavo, ma non mi sentivo lì accettata e capita, quindi mi censuravo; o dicevo quello che pensavano anche i miei compagni maschi, che loro riuscivano a dire meglio perchè avevano molta più esperienza di me. E sceglievo il silenzio. E’ nei luoghi di sole donne che riesco a dire delle cose sentendomi intera. Naturalmente non mi riferisco ad uno spazio monacale, ma ad un luogo in cui le donne scelgono il separatismo, non lo subiscono. Il separatismo è una scelta politica; a differenza delle classi separate a scuola che erano, e restano, un’imposizione. Su questo nodo abbiamo a lungo discusso all’interno della Società. Da alcuni anni io non frequento più le assemblee, perchè il fatto di avere perduto delle battaglie sulla questione del nesso inscindibile tra ricerca e didattica mi ha un po’ disamorata”.
In conclusione, come valuta l’esperienza della Scuola Estiva?
“La Scuola Estiva rimane sempre un’esperienza unica, sia perchè si incontrano persone che scelgono di andare in un luogo in cui si parla di questioni la cui conoscenza non è ancora così diffusa, sia perchè il tema crea sempre un imprevisto culturale ed esistenziale, improbabile in qualsiasi altro luogo dove si trattino altri argomenti. Infine perchè, a dispetto di ogni previsione disciplinare e disciplinata, i corpi sono comunque protagonisti, stanno lì: si prende il sole, si mangia, si chiacchiera di tutto, il luogo è incantevole, si impara ben oltre l’oggetto di studio…”.
Il tema è accattivante, le dinamiche coinvolgenti, l’occasione irripetibile.
La valigia è pronta. Vado a Scuola!
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