A scuola con Roy Paci: il ritorno di Etnagigante

«A cosa stai lavorando?». Quando ci si trova davanti a un persona come Roy Paci, perennemente iperattiva ed impegnata, questa semplice domanda può assumere una dimensione biblica tale che potresti persino pentirti di averlo chiesto. Ma è bello ritrovarlo dopo qualche anno così carico e con l’energia di un ventenne.

Omesse o scremate tutte le possibili collaborazioni del momento, non posso che chiedere di un ambizioso progetto pronto a nascere: la scuola di produzione artistica e la nuova sede di Etnagigante a Palermo.
«Sono felice di poterti ufficializzare il fatto che, dopo circa 25 anni, sono riuscito a riportare la factory di Etnagigante in Sicilia e spero questa volta definitivamente. Il caso ha voluto che tra le tante entità che si sono palesate n’è arrivata una che mi ha molto colpito umanamente per la grande vivacità che si legge negli sguardi di questi giovanissimi. Si chiama Round ed è un collettivo di giovani tra i 19 e 21 anni che si occupano di cortometraggi e video, quella parte che mi mancava. Ho dato loro spazio all’interno della factory allargando così la famiglia. E quello che adesso sta accadendo con Etnagigante è qualcosa di meraviglioso: sono stato anni dietro a questo progetto che volevo replicare in Sicilia, ovvero la scuola di marketing e management musicale che frequento da sette anni come docente in Santeria a Milano e che sono felicissimo di portare qui al Sud. Ci sono tanti giovani che vogliono fare il tour manager o l’ufficio stampa o lavorare dietro a un’etichetta, ma non sanno come iniziare. Ed io mi sento in dovere di dare qualcosa a questo territorio».

Palermo è una città che negli ultimi anni sembra respirare un fermento artistico e musicale più forte rispetto a Catania. Non credi?
«Non posso essere disonesto e questa cosa non posso che confermarla. Ma deve essere anche un monito, un messaggio di spinta: qualcosa si sta muovendo, sebbene non sia la Catania dei bei tempi, ma io vivo di futuro e non di passato e adesso è il momento giusto affinché Catania torni a creare. In ogni caso hai perfettamente ragione, a Palermo stanno accadendo tante cose negli ultimi anni».

Per quanto tu non viva di passato, hai qualche rimorso? Hai sempre dato il cento per cento della tua vita alla musica, spaziando da un genere all’altro, dai grandi palchi alle sperimentazioni assolutamente minimal. Al contempo, ti sei sempre dedicato alla scoperta e supporto di artisti sconosciuti. C’è qualcosa che avresti voluto gestire in maniera diversa o che avresti voluto prendesse un’altra piega?
«Forse sì. A volte per incoscienza o troppa passione non mi sono reso conto di aver investito tanto in qualcosa che magari non ne valeva la pena. Ma il rock’n’roll è rock’n’roll e ci si butta a capofitto, è giusto che sia così. Sono cose che fanno parte del percorso di una vita che è ricca non solo di avvenimenti belli, ma anche di interruzioni, che servono poi a fortificare il nostro percorso perché siamo indipendenti. Non parlo da major o da holding, ma da indipendente, dove quando fai un errore ti ritrovi subito col culo per terra».

Sei molto attivo anche nel sociale. E credo sia giusto per chi gode di una certa visibilità, o quantomeno lodevole. Per il resto rappresenta una scelta personale. Non credi sia un’attitudine che con le nuove generazioni di artisti sta un po’ scomparendo?
«Sono d’accordo. Sicuramente è diminuita come attività sociale, ma anche politica. Però sono contento di un’altra cosa: il fatto che comunque i giovani, o parte di essi, hanno una consapevolezza diversa. Stanno lavorando senza tenere in considerazione quelli che per noi erano le brutte bestie. Io ho ancora dentro tutta la mia rabbia nei confronti del polo petrolchimico, del triangolo maledetto dove ho vissuto, o la rabbia di Comiso dell’84 (l’istallazione di missili nucleari nella base militare di Comiso, ndr) e avevo tutte le ragioni per essere incazzato. Ma nello stesso tempo mi rendo conto che questa spinta nuova che parte dai giovani è una spinta fresca, genuina. I ragazzi si stanno coordinando con una rete più internazionale rispetto al territorio, agevolati da una rete di connessione che non avevamo negli anni ’90».

Paolo Mei

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