A Raddusa, il custode dei grani antichi di Sicilia

C’è un custode di grani antichi in Sicilia che, con determinazione, porta avanti la sua idea di retro-innovazione e di rivoluzione della cerealicoltura. Lui è Giuseppe Li Rosi, contadino di Raddusa (in provincia di Catania) e presidente dell’associazione culturale Simenza – Cumpagnìa siciliana sementi contadine

A 30 anni – oggi ne ha 55 – con una laurea in Lingue e letterature straniere in tasca e un futuro tutto da scrivere, Li Rosi ha deciso di innestare il suo bagaglio culturale umanistico nell’azienda agricola di famiglia di cui ha preso le redini, Terre frumentarie. «Ho puntato – racconta a MeridioNews – sul recupero dei grani che erano stati perduti e messi da parte perché c’erano frumenti più produttivi». Per partire dall’inizio, bisogna tornare al 1999 «quando cominciai a introdurre in azienda i primi grani antichi, per capire di cosa avessero bisogno e come si comportavano. Oggi – spiega soddisfatto – coltiviamo con metodo esclusivamente biologico e tradizionale Margherito, Timilía, Senatore Cappelli, Strazzavisazzi e il grano tenero Maiorca». Un impegno produttivo che va oltre l’imprenditoria e guarda alla protezione dall’estinzione di un patrimonio unico: la biodiversità cerealicola siciliana.

In Sicilia, infatti, ci sono 52 varietà di grano autoctone che costituiscono il patrimonio più importante di Italia, Europa e uno dei più importanti del Mediterraneo. Giuseppe Li Rosi, che è stato anche commissario della stazione sperimentale di granicoltura di Caltagirone (centro di ricerca dove sono conservati 49 ecotipi di grani locali), oggi se n’è fatto custode anche attraverso la distribuzione di sementi e di prodotti lavorati e derivati.

«L’agricoltura, negli anni, è stata ridotta solo a produrre materia prima – dice Li Rosi – e ha perso quel ruolo primario che aveva nella produzione del cibo finito. La nostra rivoluzione sta proprio nel far riguadagnare alla terra e all’agricoltura la loro dignità e il loro posto». E proprio da questo profondo desiderio di difendere i grani antichi e soprattutto la biodiversità, è nata l’idea di fondare, nel 2016, l’associazione culturale Simenza. «Siamo partiti in pochi – ricorda – con l’idea di difendere la biodiversità cerealicola. Sin da subito, però, l’idea è stata sposata da altri agricoltori, allevatori, panificatori, pastai e valorizzatori vari. Tutto questo ci ha sostenuto nel pensare che, in fondo, la biodiversità da difendere, quella per eccellenza, è proprio quella umana». E così, a quattro anni dalla sua istituzione, l’associazione ha già 180 soci e cresce basandosi sul mantenimento delle diversità al suo interno, ispirandosi al modello agricolo messo in atto dai cerealicoltori siciliani.

«Noi di Simenza auspichiamo un nuovo tipo di contatto con l’agricoltura ispirato all’antico. Vogliamo tracciare la nostra strada – spiega Li Rosi – e tenere il nostro passo che ha bisogno di tempi più lunghi e si basa su un orologio diverso, fatto di pazienza». E di metodo biologico e sostenibile. «In un campo di grano moderno, dove viene applicata la chimica, le spighe sono tutte uguali perché si tende all’omogeneità e allo standard. Noi, invece, ci ispiriamo al campo evolutivo-partecipativo, quello che, grazie allo scienziato Salvatore Ceccarelli, abbiamo sperimentato nei nostri terreni. Seminiamo e coltiviamo – conclude – miscugli di migliaia di varietà e riusciamo a introdurre anche centinaia di incroci con il risultato di una distesa di grano dove non c’è una spiga uguale all’altra: la più bassa sostiene la più alta e la più alta difende la più bassa dagli infestanti».

Maria Enza Giannetto

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