Provo a inserirmi nella vostra discussione sulla didattica nella facoltà di Lingue per proporvi una piccola complicazione. State parlando del curriculum del corso in “Scienze per la Comunicazione Internazionale”, chiedendo giustamente che la distinzione tra SCI e LCE venga riconosciuta e salvaguardata.
D’accordo, questa preoccupazione mi pare fondata, la facoltà farebbe bene a prenderne atto. Ma, a mio parere, state peccando di molta ingenuità quando – facendo riferimento alla “classe 14” – parlate di comunicazione come se si trattasse di un corso di laurea ben definito ed omogeneo in tutta Italia. Non è affatto così!
Prendete atto, vi prego, che le “scienze della comunicazione” sono una galassia molto frammentata; sulla quale converge l’interesse di semiologi, linguisti, psicologi, sociologi, politologi, storici, economisti e persino ingegneri.
Come ha spiegato molto bene il collega Fabrizio Tonello nello speciale università de “Il Manifesto” (andatelo a leggerlo qui: http://www.ilmanifesto.it/app/universita/pag9.html): “Questa frammentazione, che potrebbe benissimo essere feconda ma rimane comunque un segno di immaturità della disciplina, si riflette negli insegnamenti della quindicina di facoltà italiane che propongono un corso di laurea in “Scienza delle comunicazioni”.
Si inizia con Antropologia culturale e si percorre la scala dello scibile umano passando per Diritto pubblico, Economia, Editoria multimediale, Geografia, Italiano, Informatica, Inglese, Linguistica computazionale, Scienza dell’opinione pubblica, Semiotica, Sociolinguistica, Storia contemporanea, Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico.
Nelle facoltà (in genere di Lettere) che offrono questo Corso di laurea l’offerta didattica è alluvionale, un po’ perché c’è oggettivamente bisogno di analizzare la materia da una molteplicità di punti di vista e un po’ perché i meccanismi interni all’università incentivano la proliferazione di corsi a scapito della coerenza dell’insieme”.
Fabrizio Tonello ha perfettamente ragione, vi passo un’ultima citazione dal suo articolo: “Per Scienza delle comunicazioni i libri di riferimento sono moltissimi, troppi perché si possa dire che si tratta di “una sola” disciplina. I linguisti hanno una legittima precedenza su tutti i “concorrenti” ma né Austin, né Chomsky, né Searle hanno scoraggiato l’interesse di economisti o sociologi. Che dire della semiotica come base del Corso di laurea? Umberto Eco non propone certo il suo ‘Trattato di semiotica generale’ come piatto unico del menù didattico nella sua Bologna. Siamo dei massmediologi? Né McLuhan, né le centinaia di suoi allievi, de Kerkhove in testa, hanno prodotto opere capaci di definire i confini epistemologici del campo. In Francia, Régis Débray ha inventato una nuova disciplina che ha battezzato ‘mediologia’ ma non ha trovato fin qui seguaci. Siamo dei sociologi? La sociologia dei media include gli studi più diversi, da quelli sugli effetti sociali dei media (‘No Sense of Place’ di Meyrowitz) a quelli sui rapporti media-potere (‘Ce que parler veut dire’ di Bourdieu), da quelli sul pubblico (fenomeni di agenda setting, framing ecc.) a quelli sui lavoratori del settore. Siamo dei filosofi? ‘Teoria dell’agire comunicativo’ di Habermas non si è finora imposto come testo obbligatorio ovunque. La lista potrebbe continuare”.
Il succo del ragionamento di Toniello – che condivido totalmente – è che sarebbe impossibile stabilire “Questa (e non altra) è la Scienza delle comunicazioni”. Perciò, vi prego, smettiamola di trattare il corso di laurea in “Scienze per la Comunicazione Internazionale” come se esistesse un canone fisso al quale attenersi. Questo corso di laurea va modellato e rimodellato provando ad offrire agli studenti un cocktail accettabile di discipline di base e specialistiche, utili per formarli alle professioni prossime venture (sappiamo che anche le prospettive del mercato del lavoro sono un dato assai incerto).
Questa scommessa “sperimentale” deve essere accettata tanto dai professori quanto dagli studenti. Perciò discutiamo se il piano di studi del nostro corso di laurea in SCI è coerente oppure inadeguato. Ma senza cullarci nel mito ingannevole della “classe 14”.
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