Comincerà il 20 gennaio, davanti al tribunale monocratico di Catania, il processo al giornalista catanese di Radio Radicale Sergio Scandura, accusato di diffamazione. A querelare il cronista è stata la collega messinese Nadia La Malfa, ex addetta stampa del gruppo del Partito democratico all’Assemblea regionale siciliana, e adesso nell’ufficio di gabinetto dell’assessore regionale al Turismo, Anthony Barbagallo. La vicenda risale al 2012 quando Scandura scrisse un articolo sul Revolution day, il concerto organizzato per festeggiare a piazza Politeama, a Palermo, l’elezione del presidente della Regione Rosario Crocetta.
Il pezzo, pubblicato il 12 novembre 2012 sul quotidiano online Linkiesta, avrebbe scatenato le ire di La Malfa per alcune frasi che, secondo lei, avrebbero leso la sua onorabilità e la privacy. Al centro della denuncia della giornalista un capoverso, dove Scandura aveva definito la collega: «Una presentatrice che, se non fosse per la silhouette (ma solo per quella ci mancherebbe) che porta alla mente una celebre consigliera regionale del Nord Italia, è la dolce metà del segretario regionale del Pd appena eletto deputato al parlamento siculo». Ovvero il predecessore di Fausto Raciti, Giuseppe Lupo. Per la querelante sarebbe inoltre chiaro il riferimento alla ex consigliera lombarda del Pdl Nicole Minetti, «nota alle cronache anche per una vicenda legata allo sfruttamento della prostituzione», scrive La Malfa nel testo della sua denuncia.
Ma il passaggio che secondo lei sarebbe maggiormente diffamatorio è quello dove Scandura la collega al deputato del Partito democratico, «insinuando che il ruolo ricoperto dalla stessa (La Malfa, ndr) sia, per così dire, il risultato di una relazione sentimentale tra i due», aggiunge. Per quanto riguarda invece la presunta violazione della vita privata, l’ex addetta stampa fa appello all’inesistenza del requisito del pubblico interesse dell’informazione data dal collega. I fatti portati sotto la lente d’ingrandimento del giudice, secondo la querela, «non presentano il carattere dell’essenzialità richiamato dalla norma che tutela i dati personali, in quanto relative esclusivamente alla sfera privata».
Una tesi smentita seccamente dalla difesa del cronista etneo che, oltre a mettere in discussione il tribunale di competenza – che secondo i legali non dovrebbe essere quello del capoluogo catanese, per via dell’impossibilità di stabilire dove sia stato commesso il presunto reato – nega la sussistenza della diffamazione. «Secondo noi il nostro difeso non ha leso l’onore e il decoro della giornalista, ha raccontato solo un fatto – spiega a MeridioNews l’avvocato Milio Basilio – Vedremo come muoverci in sede processuale, ma secondo noi non ci sono gli estremi per la configurazione del reato».
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