Era la fine degli anni ’90 e a Catania, precisamente alla Civita, aveva luogo una maxi operazione anti-droga che coinvolse un grande numero di forze dell’ordine, per mesi appostate sui tetti delle nostre case, filmando e intercettando tutto quello che accadeva e che ormai era la prassi.
Il giro di droga era diventato di dimensioni spropositate e il volume degli affari cresceva a dismisura e i catanesi, i “civitoti”, erano ormai impassibili. Credevano che tutto quello fosse destinato a continuare per sempre.
La malavita aveva preso possesso di tutti gli spazi: piazze, strade, vicoli e persino gli altarini vennero trasformati in luoghi deputati allo spaccio e all’occultamento di coca, hashish, eroina ecc. Ecco, io sono cresciuto con questa sensazione di accerchiamento, d’insicurezza, di oppressione e di un’illegalità diffusa, celata ma non troppo.
La situazione descritta non è dissimile da tantissime altre realtà di Catania in zone periferiche e no, dove ogni giorno ci si deve confrontare con la criminalità, in tutte le sue forme. Ancora oggi vedo attorno a me questa conquista nefasta: togliere il respiro a chi cerca di agire per migliorare il presente ed il futuro; uno dei tanti esempi è quello di suor Lucia e delle altre sorelle a Librino, che per il loro audace e tenace impegno nel togliere giovane manovalanza alla criminalità sono spesso vittime di intimidazioni. Di nuovo ritorna la sensazione di soffocamento e di sfiducia che ci porta a non reagire, e ad evitare perfino di camminare per alcune parti della città.
La paura e lo scoramento sono sensazioni più che legittime, è difficile camminare per San Berillo, San Leone, L’Antico Corso, Gli Angeli Custodi, e non sentirsi spaesati e forse anche fuori luogo. Certi sguardi che ti fissano perché ti stai addentrando in posti che non sono cosa tua, e sembrano dire “questa zona è COSA NOSTRA” e tu non ci puoi stare.
E’ qui che si sbagliano, quei posti non sono “cosa loro” ma appartengono a tutta la città, ai bambini che ci giocano, agli anziani che discutono tra loro, alle mamme con i passeggini, ai turisti che li scoprono per la prima volta.
La mia idea è semplice e abbastanza concreta e si basa sulla voglia di riprendersi i propri spazi; le nostre piazze e le nostre strade che adesso ci sono precluse perché servono come basi logistiche per la micro e macro criminalità. Visto che non sono meta del giro delle ronde “2 militari + 1 poliziotto”, andiamoci noi. Basta una semplice passeggiata, per una volta possiamo anche abbandonare le vetrine di via Etnea, e aprire gli occhi sull’illegalità. Più saremo a guardare più sarà rischiarato il buio criminale di questi luoghi; più saranno gli occhi, più intensa e duratura sarà la luce ad abbagliarli e a scacciarli.
Sono convinto che iniziando da una passeggiata e poi andando ad abitarvi o mettendo su un’attività, riusciremo a togliere il terreno da sotto i piedi ai criminali, ognuno di noi può e deve essere un presidio di legalità e di libertà.
Ci sono già alcune realtà come la sala Lomax, il Bocs di via Grimaldi, il centro Talità Kum a Librino e molti altri, ma quello che serve ancor di più siamo noi, la cosiddetta “società civile” che deve capire che quello che accade in alcuni quartieri di Catania non è un ronzio fastidioso e neanche un’eco lontana o l’ennesima pagina del giornale da sfogliare e liquidare con una frase al bar, ma qualcosa che ci riguarda da vicino e in prima persona.
Io credo che un segnale forte potrebbe venire anche dall’Università, non solo dalle facoltà già presenti nel territorio ma da tutto l’ateneo, uscire dalle aule e fare ad esempio le lezioni nelle piazze dove si spaccia o si delinque, significherebbe accendere l’interruttore della luce e sorvegliare che nessuno tenti di spegnerlo.
Salvo Costantino, 22 anni, 3° anno Scienze dei Beni Culturali,
Dal 2008 scrivo sul mio blog: http://cronanchedallacitta-periferia.blogspot.com
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