Un mese fa la partita tra Modena a Catania non si giocò per colpa di un campo bianco di neve e nero di fango, sul quale nessun pallone avrebbe mai potuto rotolare. La aspettavamo con ansia, quella partita: con un’ansia insolita per una gara da giocare in trasferta. Insolita perlomeno per noi che, da un paio d’anni almeno a questa parte, viviamo ogni partita lontano dal Massimino immaginandoci come il tacchino che sente arrivare il Natale.
Quella volta, tuttavia, non vedevamo l’ora che si giocasse. Perché il Catania aveva da poco cambiato l’allenatore e buona parte dei giocatori; perché sembrava che avesse anche cambiato volto, almeno a giudicare dalle prime, vincenti prove in casa contro Pro Vercelli e Perugia, che avevano riacceso in molti perfino l’ambizione di agganciare i play off; e perché insomma a quella prima vera uscita esterna del nuovo Catania legavamo la speranza che il gelo cominciasse a sciogliersi, che l’inverno del nostro scontento si cambiasse finalmente in gloriosa estate.
Si è giocata ieri sera, Modena-Catania, su un campo finalmente verde che sapeva di primavera. E noi stavolta la temevamo, questa trasferta, con la ragionevole logica induttiva di chi ha dovuto constatare che né giocatori nuovi, né nuovo allenatore, e forse nemmeno il troppo a lungo sospirato benservito al professor Ventrone erano ancora bastati per cambiare il modo in cui la nostra squadra si esprime lontano dal Massimino. La temevamo: con il fatalismo di chi, sgranando il lungo rosario delle occasioni perdute, nel futuro riesce a vedere ormai solo il tempo che passa, la quantità dei punti disponibili che si accorcia. Senza che la squadra riesca almeno a lasciarsi alle spalle gli ultimi posti in classifica che vogliono dire diretta retrocessione.
Abbiamo temuto più volte di perderla, questa partita. Quando, verso la fine del primo tempo, il modenese Garritano ci ha minacciato con un diagonale di fulminante potenza, che è andato a centrare il palo alla destra di Gillet. E poi quando, a venti minuti dalla fine, lo stesso Gillet ha dato fondo alle sue doti di acrobata per togliere dalla porta un colpo di testa ravvicinato di Cionek. E quindi, ancora, tutte le volte che abbiamo visto Castro intestardirsi nel giocare la palla a tocchetti e scavettini, quando poteva benissimo passarla in maniera più semplice a un compagno in condizione di battere a rete. E abbiamo temuto di perderla perfino quando Cionek – lo stesso giocatore che poco prima ci aveva quasi fatto gol – s’è fatto buttare fuori dall’arbitro per una sciocca protesta. E noi, invece di pensare che era il momento di fare un sol boccone del Modena, abbiamo avuto paura di rivivere la partita di Pescara; nella quale, al termine di un secondo tempo giocato in superiorità numerica, l’avversario ci aveva messi al tappeto a tempo scaduto, con uno di quei tiri che ti riescono una volta sola nella vita: in genere quando provi a farli contro il Catania.
Eppure, stavolta – e sarebbe stata la confutazione del nostro stesso fatalismo – la partita abbiamo rischiato di vincerla. Quando, dopo un tiro da fuori area di Rosina respinto non troppo bene dal portiere avversario, Mazzotta ha servito la palla al giovanissimo Mattia Rossetti. E questi ha battuto a rete dal centro dell’area, trovando però la traversa sulla traiettoria del suo tiro. E regalandoci solo un altro urlo strozzato, più o meno come era successo giusto una settimana fa sul campo di Bari.
Potrebbe consolarci, adesso, il pensiero che i due punti raccolti nelle ultime due trasferte appaiono un bottino perfino ricco per una squadra che, lontano dal suo campo, di punti ne aveva raccolti altrettanti in tutto il campionato? Potrebbe, se non fossimo già a marzo. Se non mancassero alla fine del campionato appena dodici partite, sette delle quali da giocare fuori casa; se, di queste sette trasferte, non ce ne fossero in programma due consecutive nei prossimi dodici giorni. Potrebbe consolarci, se ancora potessimo permetterci qualche strascico di inverno. Se non sentissimo addosso la fretta, l’urgenza, la frenesia di scrollarci di dosso al più presto tutto il gelo del nostro scontento, del fatalismo che ci accompagna dall’inizio del campionato. E che difficilmente andrà via prima che una vittoria lontano dal Massimino ci regali, perlomeno, una timida promessa di primavera.
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