A HISTORY OF VIOLENCE
2005
USA
David Cronenberg
Viggo Mortensen, Maria Bello, William Hurt, Ed Harris
Esistono i mostri? Si, esistono e sono nascosti dentro a ognuno di noi. O meglio, ognuno di noi è un po mostro alle volte.
David Cronenberg rimane fedele al suo viaggio (ormai lungo 30 anni) attraverso la complessa e schizoide psicologia umana con il turbolento A history of Violence. Cè un evidente ponte che collega questa ultima pellicola ai tormenti omozigoti dei gemelli Mantle di Inseparabili e alle ragnatele cerebrali di “Spider”. La lotta intersoggettiva che strazia luomo e che lo disorienta in vertiginosi abissi neri è materia privilegiata e trasversale di molti capitoli dell’indagine filosofico-esistenziale del regista canadese.
A History of Violence è un film che può essere virtualmente e comodamente diviso in due atti:
il primo è la presentazione di personaggi, luoghi e scenari in una febbrile attesa verso la violenza pompata dal titolo. Cè una famiglia americana per bene, cè una casa nella campagna del Louisiana, cè Tom (Viggo Mortensen), papà buono, umile e proprietario di una caffetteria, c’è una moglie dolce e bionda (Maria Bello), due figli belli ed affettuosi ed una cittadina pacifica, una middletown, che fa della normalità geloso stendardo.
Nel primo atto, dunque, a dominare la scena è lambiguità di una fotografia (Peter Suschitzky) tanto normale quanto onirica. La regia di Cronenberg quì strizza locchio a Lynch e non ci si stupirebbe, infatti, se lo strano e messaggero cowboy di Mulholland Drive attraversasse, da un momento allaltro, le strade della cittadina. Si avverte, così, una catastrofe in arrivo (Velluto Blu?), si tasta una tensione narrativa di cui il grande Cronenberg è assoluto maestro e si inala passivamente una drammaticità che accumula il suo flusso come gas in una stanza.
Il seme della violenza sboccia improvvisamente quando Tom massacra con una rabbia inaspettata due banditi allinterno della sua caffetteria scuotendo dal sonno la piccola cittadina.
Al secondo atto, invece, è riservato l’onere di presentare le spiazzanti rivelazioni e di dare in mano alla violenza il ruolo centrale. Tom si scopre Joey ed il passato torbido e spietato del buon cameriere di provincia sinsinua sullo sfondo. La sua vita da tranquillo cittadino medio viene deformata dal conflitto tra le due sue anime e la visita al grottesco e lynchiano fratello Richie (William Hurt), collante col passato, assumerà le tinte di un sanguinolento western urbano o di quegli scontri epici, marchio di fabbrica dellultimo Tarantino. È in queste fasi che riconosciamo unanima di Cronenberg nascosta da qualche annetto: il gusto per lo splatter.
Il sangue, le carni strapazzate ed il contatto fisico più cruento vanno a stordire lo spettatore in impennate improvvise.
Dopo linsuccesso ai botteghini di un capolavoro del cinema psicotico qual è Spider, David Cronenberg, forse a corto di quattrini, torna con questa storia americana pirotecnica dal sicuro successo commerciale e dal certo impatto emotivo. Le sequenze della pellicola sono intriganti e la storia, anche se non originalissima, vanta di una direzione impeccabile. Unico neo potrebbe essere considerato la conclusione parzialedel film: Tom/Joey viene riaccolto dalla famiglia, nonostante la sua falsa identità e il suo passato da killer in una scena e in un finale forse un tantino insipido. Come se al regista canadese fossero terminate le idee proprio allultimo scatto. Ma forse, riflettendoci, cosa sono gli Stati Uniti se non la costante convivenza con la violenza?
Viggo Mortensen convince. Il suo volto di plastica sa ben adattasi alla schizofrenia del suo personaggio, lui è lamericano medio che gestisce la sua violenza e il suo rammarico verso un mondo anestetizzato. Quella di Tom è una delle tantissime storie di ordinaria follia americana, quando lodore asfissiante del piombo e quello acre del sangue spezzano lincantesimo della quotidianità.
Nota
Tratto dal romanzo a fumetti Una storia violenta di John Wagner con disegni di Vincent Locke
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