A grandi passi verso le elezioni anticipate

Quando il commissario dello Stato, alla fine dello scorso anno, ha impugnato la legge sulla stabilizzazione dei precari, abbiamo manifestato il dubbio che, dietro questo atto, ci potesse essere lo ‘zampino’ di Roma. A farcelo pensare era il merito dell’impugnativa: la legge, infatti, è stata censurata non perché il provvedimento viola quella parte della Costituzione che prevede concorsi ‘veri’ per l’accesso nella pubblica amministrazione, ma per mancata copertura finanziaria. Il segnale, a nostro modesto avviso, che Monti non è Berlusconi, e che il governo nazionale non avrebbe tollerato ulteriori sperperi di denaro pubblico da parte della Sicilia.
Contrariamente a quello che hanno pensato i dirigenti della Cisl siciliana, che vedono nelle ragioni di tale impugnativa una ‘mera’ questione finanziaria risolvibile in quattro e quattr’otto (la verità è che, di questi tempi, gli amici della Cisl sono poco lucidi: valga per tutti il comunicato che hanno diramato due giorni fa, del quale riferiamo in altra parte del giornale, con il quale invitano governo regionale a commissario dello Stato a “dialogare”, dimenticando che le funzioni del governo debbono restare separate da quelle del commissario), a Roma non è sfuggito un particolare: mentre il parlamento dell’Isola era impegnato a ‘intruppare a ‘umma ‘umma altre mille e 600 soggetti nella pubblica amministrazione, il governo regionale presieduto da Raffaele Lombardo, chiedeva a Roma il ‘permesso’ di tenersi le accise sulla raffinazione del petrolio.
Proviamo a immaginare la scena: mentre il governo Monti, a Roma, è impegnato ad ‘alleggerire’ le tasche degli italiani di 30 miliardi di euro e, contemporaneamente, si batte, a Bruxelles, per convincere le istituzioni comunitarie a non penalizzare ulteriormente l’Italia, la Sicilia chiede al governo nazionale un ‘bonus’ che oscilla da 7 a 10 miliardi di euro all’anno, ovvero le accise sul petrolio raffinato in Sicilia (che sarebbero imposte) fino ad oggi trattenute dallo Stato.
Che dovrebbe fare la Sicilia con tutti questi soldi? Investimenti per le infrastrutture? Nuove strade e autostrade? Porti turistici? No. Deve pagare i propri debiti, vecchi e nuovi: dalle voragini delle società collegate alla Regione alla spesa sanitaria che aumenta, nonostante le chiacchiere dell’assessore Massimo Russo; dai forestali che non ‘forestano’ un tubo alla formazione professionale che non forma (e non serve a) nessuno; dall’esercito dei consulenti alle mega-indennità dei dirigenti generali della stessa Regione; dal pozzo senza fondo dell’Ars ai mille altri sprechi che hanno ridotto in ‘mutande’ le finanze regionali.
L’anno scorso il governo Berlusconi concedeva alla Sicilia la possibilità di utilizzare 750 milioni del Fas (Fondi per le aree sottoutilizzate, soldi che avrebbero dovuto essere impiegati per le infrastrutture) per pagare la ‘voragine’ finanziaria di una sanità siciliana che l’assessore Russo, come già accennato, non solo non ha risanato, ma ha peggiorato.
Se alla fine ha ceduto Berlusconi, che noi osteggiavamo, figuriamoci se non cederà Monti, che noi a Roma appoggiamo, devono aver pensato Lombardo & compagni. Si sono sbagliati. Pronto accomodo, interrompendo il ‘patteggiamento bonario’ tra governo regionale e commissario dello Stato che la Cisl siciliana è tornata a sollecitare, è arrivata l’impugnativa di fine anno. Replicata da una seconda impugnativa di qualche giorno fa, sempre per mancata copertura finanziaria (non ci sarebbero i 70 milioni di euro da aggiungere al credito d’imposta e ci sarebbero dubbi pure sui fondi per la formazione professionale).
Il governo regionale ha osservato che il commissario dello Stato oggi mette in discussione una fonte di reperimento dei fondi – l’avanzo finanziario – che viene utilizzato dal 2001. L’osservazione è giusta. Ma è altrettanto giusto pensare che, già 11 anni fa, sarebbe stato coretto censusare l’utilizzazione disinvolta degli avanzi finanziari: se ciò fosse avvenuto, la Regione non si troverebbe, oggi, alle soglie di un baratro finanzario che, ormai, è nei fatti.
A proposito di baratro finanziario, va detto a chiare lettere che, ormai, le dimissioni del governo Lombardo e lo scioglimento anticipato dell’Assemblea regionale siciliana sono nelle cose. La linea dura, in materia di finanza pubblica, tenuta dal commissario dello Stato fa il paio, infatti, con le parole, pronunciate oltre un mese fa, dai vertici della Corte dei Conti per la Sicilia, che hanno detto a chiare lettere che per la sanità pubblica, a partire da quest’anno, senza soldi non si canterà messa.
Resta un’ultima considerazione. Tra le improprie sollecitazioni della Cisl siciliana, che chiede il “dialogo costruttivo” tra governo regionale e commissario dello Stato, e l’ombra di pesanti ingerenze romane sulle opzioni di tale ufficio, sorge il dubbio – che a noi sembra piuttosto fondato – che lo stesso ufficio del commissario dello Stato – per responsabilità che non possono essere certo imputate allo stesso commissario – possa, alla fine, non risultare un organo al di sopra delle parti. Da qui la necessità, per i siciliani che credono nella legalità, nella democrazia, nell’Autonomia e nella politica di rilanciare la questione, mai sopita, dell’Alta Corte per la Sicilia.
Nei primi anni dell’Autonomia a dirimere le controversie tra Stato e Regione era l’Alta Corte (della quale fece parte, tra gli altri, don Luigi Sturzo, persona competente e seria che mai avrebbe accettato di operare in un consesso privo di spessore culturale, politico e istituzionale). Una sentenza ‘abusiva’ della Corte Costituzionale, alla fine degli anni ‘50, non ha abrogato ma ha solo ‘congelato’ l’Alta Corte (“sepolta viva”, secondo l’’espressione dell’ex presidente della Regione, Giuseppe Alessi, che in diritto non prendeva lezioni da nessuno). Da qui la necessità di riesumarla per porre fine una giurisprudenza costituzionale che, in tutti questi anni, ha danneggiato i reali interessi della Sicilia.

 

 

Giulio Ambrosetti

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