A Gatti la prima edizione di ‘Nient’altro che la verità’

Cosa scriverebbe Giuseppe Fava se fosse ancora in vita? Di quali scandali avrebbe scritto? Forse è difficile dirlo o forse no, ma fatto sta che l’anniversario dell’assassinio del direttore de “I Siciliani” fino a quel triste 5 gennaio 1984, giorno della sua uccisione, non viene ricordato come si deve in Sicilia. L’incontro annuale organizzato al centro culturale Zo dalla Fondazione Fava per ricordare la figura del giornalista siciliano ucciso dalla Mafia, ha offerto anche l’occasione per la consegna del Premio nazionale Giuseppe Fava ‘Nient’altro che la verità’ a Fabrizio Gatti, autore di alcune inchieste sul settimanale L’Espresso. Oltre a Gatti, ospiti della serata sono stati Marco Travaglio, giornalista e scrittore, e Michele Gambino, giornalista de “I Siciliani” ai tempi di Pippo Fava. A moderare la serata Claudio Fava, europarlamentare figlio del giornalista assassinato 23 anni fa.

L’incontro viene introdotto dalla lettura da parte di Donatella Finocchiaro di una lettera inviata nel dicembre ’82 da un gruppo di lettori a Giuseppe Fava, allora direttore del Giornale del Sud prima del licenziamento e accompagnata dal primo intervento di Claudio Fava sul fatto che il quotidiano “La Sicilia” non abbia dedicato neanche una riga all’evento e all’anniversario della morte del giornalista di Palazzolo Acreide. Da questa introduzione, Marco Travaglio ha avuto modo di sottolineare come ancora oggi l’informazione in Italia sia succube del potere politico. Da questo ne prende spunto Claudio Fava per leggere parte di alcuni atti del processo per l’uccisione di Pippo Fava ed in particolare le dichiarazioni di Tony Zermo e Mario Ciancio, rispettivamente giornalista e direttore de “La Sicilia”.

Nel suo intervento, Michele Gambino racconta di come all’interno della redazione de “I Siciliani”, ad esclusione probabilmente di Pippo Fava, non ci si era accorti di quella guerra che si era instaurata con la Mafia. Probabilmente, secondo le parole di Gambino, perchè grazie a Fava si riusciva a scrivere di mafia come di gastronomia, turismo o spettacolo. Infatti, dopo l’assassinio di Fava, la redazione si accanì nello scrivere di eventi mafiosi e si creò una sorta di “muro contro muro” che portò al declino del giornale. Quindi, concludendo il suo primo intervento, Gambino ha voluto sottolineare l’incapacità di mantenere la linea editoriale de “I Siciliani” come ai tempi di Fava.

Gatti invece ha voluto parlare di libertà di informazione. Una libertà che anima le sue inchieste e che purtroppo non riesce a trovare facilmente spazio in Italia. Trova le parole per elogiare il lavoro di Fava in quegli anni e di come sia stato ancora più difficile scrivere in Sicilia.
Il giornalista milanese ha voluto chiarire come in Italia non sia possibile entrare nei centri di permanenza temporanea che accolgono gli immigrati clandestini e bisogna fidarsi solo delle informazioni istituzionali a differenza della facilità con cui si può accedere in un carcere e realizzare qualsiasi intervista.

Nel suo secondo intervento, Marco Travaglio ha voluto ironizzare un po’ i paradossi politici della commissione parlamentare antimafia e di come bisognerebbe distinguere chi parla di mafia da chi parla di antimafia cercando di cogliere per ogni singolo caso o personaggio le caratteristiche specifiche e non generalizzare buttandolo da una parte piuttosto che dall’altra della linea di confine tra mafia e antimafia.
Michele Gambino ha invece evidenziato come bisognerebbe recuperare il senso della società civile. Prendendo spunto dalla puntata di “Annozero” dove sono stati ospiti Totò Cuffaro e Claudio Fava e in cui il Governatore siciliano si è quasi messo a fare il comico, Gambino ha voluto dire come la società civile odierna non debba rimanere indifferente a certi comportamenti da parte delle istituzioni cercando di reagire con rabbia prendendo le distanze dalla società mafiosa.

In ultimo, Fabrizio Gatti, alla domanda di Claudio Fava su quale servizio avrebbe scritto per Pippo Fava, la risposta del giornalista de “L’Espresso” è stata quella di realizzare un servizio simile a quello del Policlinico di Roma. Inoltre, ha voluto ribadire il concetto della funzione dei cittadini in quanto fautori anch’essi dell’inchiesta insieme a chi la scrive e non semplici sudditi al comando dei politici o di chi detiene l’informazione.

Prima della consegna del premio a Gatti, Donatella Finocchiaro ha letto la parte iniziale di “Io schiavo in Puglia”, inchiesta condotta da Fabrizio Gatti nei campi di pomodoro del Foggiano, e “Lo spirito di un giornale”, la lettera di risposta di Giuseppe Fava alla nota di alcuni lettori del Giornale del Sud letta a inizio serata. A conclusione dell’incontro, Claudio Fava ha ringraziato gli intervenuti e ha dato appuntamento a tutti per l’anno prossimo.

Mario Grasso

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