«Ritorno in Sicilia, visto che sono una ex testimone, ritorno a casa mia, dove nessuno può cacciarmi, ritorno alla mia identità che nessuno ha diritto di cancellare. Ritorno tra i ragazzi per rivendicare il diritto alla Vita. Non torno per morire ma per lottare». Con queste parole la testimone di giustizia Piera Aiello ha comunicato la clamorosa intenzione di rientrare a Partanna, la cittadina della valle del Belice dalla quale andò via nel 1991 dopo l’omicidio del marito e la decisione di affidarsi alla protezione dello Stato. A determinare la sua decisione è stata l’uscita dal programma di protezione, recentemente comunicata dal Servizio centrale di protezione. Adesso Piera non è più testimone di giustizia, ma semplicemente una “ex testimone”.
«Mentre la mafia sanziona che i suoi nemici sono nemici per sempre, lo Stato di Diritto afferma che i suoi testimoni divengono ad un tratto ex testimoni e dunque possono essere lasciati in balia della propria sorte, decisa dai criminali denunciati. Ovviamente nessuno ti notifica che non sei più a rischio e che la mafia (anche quella uscita di galera) ha dimenticato» commenta amaramente Piera sul sito dell’associazione antimafie “Rita Atria”.
Alle domande rivolte dalla donna durante una conferenza stampa organizzata martedì, ha risposto attraverso un comunicato il sottosegretario al ministero degli Interni Alfredo Mantovano. «La signora Aiello ha concordato l’uscita dal programma di protezione nel 1998, ricevendo in quel momento una somma che le ha permesso di avviare un’attività commerciale in una zona lontana da quella di origine. Per renderne completa la mimetizzazione è stato effettuato anche il cambio delle generalità, su sua richiesta. Questo avrebbe dovuto far ritenere concluso ogni impegno del sistema della protezione nei suoi confronti: con la sola significativa eccezione della tutela personale, se ve ne fosse stata la necessità, come avviene per ogni testimone che esce dal programma». Ma nessuno – afferma Piera Aiello – le ha comunicato le motivazioni dell’uscita dal programma né si è assunto la responsabilità di affermare che non ci sono più rischi di ritorsioni mafiose. Inoltre fino a luglio (durante una visita in Sicilia) Piera è stata accompagnata da cinque agenti di scorta. «Se fosse intervenuta la cessazione del rischio evidentemente non avrei avuto bisogno di questi uomini».
La cognata di Rita Atria ha chiesto dunque che le venga nuovamente riconosciuto lo status di testimone. Di conseguenza, ha chiesto che lo Stato acquisisca i suoi beni a prezzo di mercato come previsto dalla legge. In passato c’è stata infatti una controversia relativa alla sua casa: Piera si è vista offerta «una cifra offensiva e umiliante per una casa costruita con sacrificio e anni di immigrazione in Venezuela di mio padre». Una cifra inadeguata a poter ottenere nella sua nuova residenza «beni di “pari consistenza” o comunque qualcosa di dignitoso che si potesse chiamare casa». Tra le richieste c’è infine l’accettazione di una richiesta di mutuo che – beffarda burocrazia – viaggia senza sosta dal Ministero alle banche.
Alla situazione controversa venutasi a creare a livello giuridico si aggiunge anche il silenzio seguito alla compromissione della sua nuova identità. Nel mese di aprile – infatti – è saltata la copertura che aveva permesso alla donna di crearsi una nuova vita in una località segreta. Come si legge nel comunicato congiunto di Piera Aiello e del suo avvocato, non sono ancora state attuate le misure previste e concordate.
Mentre si attendono risposte da parte del Servizio centrale di protezione, un piccolo passo avanti è stato fatto mercoledì pomeriggio, dopo un colloquio con il Procuratore di Marsala e l’assegnazione (momentanea?) di una scorta. Una scorta “civile” invece ha vegliato sulla testimone giovedì pomeriggio a Partanna. Semplice il messaggio lanciato dall’Associazione Rita Atria: la «gente comune» è stata infatti invitata a presentarsi a casa di Piera.
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