Discarica Tiritì, l’Arpa lancia l’allerta contaminazione Al vaglio c’è l’eventuale interazione tra acqua e rifiuti

Un fascicolo di 15 pagine in cui si lanciano tanti interrogativi e soprattutto l’allarme di una potenziale contaminazione causata dall’ex discarica, ormai satura, di contrada Tiritì, a Motta Sant’Anastasia. Trascorsi quattro anni dal giorno in cui i cancelli venivano chiusi per sempre, torna alla ribalta l’area di cui è proprietaria Oikos, società della famiglia Proto. La relazione tecnica, messa nero su bianco dalla sezione Arpa di Catania, fa parte di una specifica indagine preliminare voluta dal dipartimento regionale Acqua e rifiutiiniziata proprio nel 2014 e affidata in prima istanza a Oikos. Obiettivo: capire l’impatto dello stoccaggio dei rifiuti e il grado dell’eventuale inquinamento ambientale. Il tutto attraverso una rete di piezometri, apparecchi utili a monitorare presenza e pressione dell’acqua a una certa profondità tramite tubi di piccolo diametro.

I primi rilievi, trasmessi dalla società, risalgono al 2015. Allora non sarebbe emersa «alcune evidenza circa la presenza di acqua» nelle falde. Così entra in scena l’Arpa,  agenzia regionale per la protezione ambientale, organo di vigilanza nominato da Palermo. I tecnici a questo punto effettuano in prima persona le analisi nell’ex discarica. Il primo resoconto degli esperti ribalta tutto, evidenziando la possibilità di contaminazioni e «l’eventuale presenza di percolato del corpo dei rifiuti». Nel 2017, tra giugno e settembre, c’è la seconda campagna di monitoraggio dei piezometri. «L’insieme dei rilievi compiuti – si legge nella relazione – ha consentito di accertare la presenza non occasionale di acqua». Particolare di non poco conto che, fino a quel momento, «non era stato messo in luce nelle indagine svolte da Oikos», sottolineano dall’agenzia. Una serie di problemi alle apparecchiature, tuttavia, non consentono di andare fino in fondo, e si rimanda tutto a un nuovo sopralluogo per analizzare le caratteristiche chimiche e fisiche delle acque.

La nuova spunta al calendario della vicenda arriva ad aprile scorso. Quando l’Arpa comincia il primo di 18 sopralluoghi in contrada Tiritì. Prelievi, campionamenti e osservazione dei tempi di ricarica sono le tre finalità dichiarate. Anche attraverso l’utilizzo di sigilli che, alla fine di ogni giornata, vengono inseriti per garantire la regolarità delle operazioni. Nelle conclusioni quattro elementi, stando ai tecnici regionali, risulterebbero «nettamente superiori» ai valori fissati per le acque sotterranee. Si tratta di nitriti, solfati, manganese e boro. Motivo per cui, conclude l’Arpa, «il sito in questione è da considerare, almeno in prima istanza, potenzialmente contaminato». A questo punto ci si ritrova davanti a una sorta di bivio. Da un lato una serie di analisi potrebbero determinare lo stato, o meno, di contaminazione e quindi aprire la strada a bonifiche e messe in sicurezza. Dall’altro lato l’ex discarica potrebbe già essere considerata infetta qualora il piezometro numero 10 – tra quelli più attivi – venga considerato come «punto di conformità». Cioè quello posto «idrogeologicamente a valle di una zona contaminata»

La relazione tecnica di Arpa, inoltrata a fine luglio a Oikos, assessorato Ambiente e Comune di Motta Sant’Anastasia, adesso è finita anche in un documento, reso pubblico ieri, della commissione consiliare speciale di studio e monitoraggio della discarica. Organo comunale presieduto dalla consigliera del Movimento 5 stelle Daniela Greco. Tre pagine in cui vengono ripercorsi i rilievi degli esperti e in cui si chiedono delucidazioni al sindaco Anastasio Carrà. A partire da una possibile diffida nei confronti di Oikos. «La commissione viene rinnovata periodicamente e soltanto adesso, dopo l’ultima convocazione, abbiamo ripreso i lavori – spiega Greco a MeridioNews – Se i rilievi dell’Arpa fossero confermati – prosegue – ci vorrebbe un lavoro di messa in sicurezza immediato anche perché bisognerebbe capire dove finisce quell’acqua». Nel 2013, un anno prima della chiusura, la discarica di contrada Tiritì era finita al centro di un provvedimento di sequestro per possibili reati ambientali. In quell’occasione  i magistrati etnei ipotizzarono che il percolato, trattato in presunta violazione delle norme regionali, infiltrandosi nel terreno avrebbe raggiunto i torrenti della zona. 


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