40 candeline per il Banana Album

Chissà se esiste ancora quel Cafè Bizzarre piazzato tra MacDougal street e la Terza Ovest del Village, nella parte bassa dell’isola di Manhattan. Quel localaccio dall’arredamento minimale, aperto 24 ore su 24, e dal pavimento costantemente ricoperto di segatura. Chissà se, oggi, da quelle parti, ancora si ricordano che i locali del Village come il Bizzarre (‘Gaslight’, ‘Cafe Au-Go-Go’, ‘Bitter End’ e ‘Cafe Wha’) negli anni ’60, erano una specie di porto franco della musica rock; un luogo, cioè, dove tutti quelli che volevano provarci, trovavano un palco, strumenti rosicchiati e qualche luce a disposizione. Chissà, infine, se i nuovi habituè di quel quartiere sanno che i primissimi Velvet Underground di Lou Reed, John Cale, della batterista Maureen Tucker e del lungo chitarrista Steerling Morrison, proprio dal palco del Bizzarre, pescarono il jolly che gli permise di realizzare nel 1967 il capolavoro The Velvet Underground & Nico, ossia, la più avanguardistica opera della storia del rock. Perché in questo fine aprile sono esattamente 40 gli anni dalla pubblicazione di quel disco. E rispolverare lo storico aneddoto dei Velvet Underground di scena al Cafè Bizzarre in una notte invernale del 1965, è quasi obbligatorio per celebrare le quaranta candeline del disco.

 

L’accordo tra Reed ed il boss del Cafè Bizzarre era: un pugno di brani a disposizione, qualche birra offerta dalla casa e solo una condizione: non eseguire quel “pezzaccio cacofonico” che era The Black Angel’s Death Song, suite psichedelica scritta da Reed in memoria del poeta della middle generation Delmore Schwartz.

«Tutto tranne quel pasticcio di chitarre e rumori!» – avrà tuonato il padrone del locale. E invece nulla: la tentazione per i Velvet fu troppo grande e, alla fine, Cale partì maltrattando la sua viola elettrica, Lou cominciò sgualcendo la chitarra, gli altri li seguirono, e il risultato fu che si ritrovarono al freddo del cortile letteralmente sbattuti fuori dal bar a calci nel sedere.

La fortuna però era con loro: tra il pubblico insonne che stava lì ad ascoltare, infatti, ci stava anche un omuncolo piccolo piccolo dai capelli dorati, occhialoni ed un eccentrico cappotto lungo fino alle caviglie. Senza girarci troppo attorno, caso volle che i Velvet Underground, quella notte, facessero un incedibile terno al lotto, trovando i favori di Andy Warhol, in giro  nei suoi soliti vagabondaggi notturni.

 

L’artista più estroso del mondo, principe della pop art, in costante ricerca di nuove forme d’espressione e fondatore di quel laboratorio poliartistico che era la Factory, s’imbatté nella band che faceva al caso suo. Disinibiti, talentuosi, eccessivi e capaci di proporre una formula veramente spiazzante, i Velvet Underground offrivano un affresco efficace della metropoli newyorkese segnato dall’incontro agrodolce tra luce ed ombra, rabbia e amore, velluto e droga. Cosa avrebbe dovuto fare Warhol per tirarli fuori dalla strada e portarli alla consacrazione artistica? Innanzi tutto donargli una cover art fatta di proprio pugno: la celebre banana gialla a sfondo bianco che ai tempi delle prime edizioni poteva essere sbucciata tramite una linguetta posta sulla cover. Poi, prendere sottobraccio Lou e convincerlo ad arrabbiare ancora di più le sue liriche con più sangue, più storie disperate, più violenza, ancor più verità metropolitana. E, infine, imporre alla band l’elemento di rottura rappresentato dalla voce glaciale ed onirica della bionda modella tedesca Christa Päffgen, in arte Nico.

 

Il risultato definitivo fu una delle più pregiate pietre miliari del rock, solcata in profondità da pezzi come Heroin, I’m Waiting for the man, Venus in furs, All Tomorrow’s parties. Le canzoni di Reed &Co. sono storie di sobborghi, ghetti, tra droga, prostitute, pusher e crisi d’astinenza, ‘raccontate’ dall’espressionismo musicale di chitarre, ora sporche e sgraziate ora più addomesticate e funeree, dai rulli epilettici della mascolina Tucker e dalla polvere magica di John Cale, polistrumentista di grande ingegno.

 

“The Velvet Underground & Nico”, in questi quarant’anni d’esistenza, è stato il disco più citato della biografia del rock e pioniere di diversi filoni musicali nati successivamente: il noise rock su tutti. Il musicista inglese Brian Eno una volta disse che: «i primi cento che acquistarono “The Velvet Underground & Nico” oggi sono diventati o critici musicali o musicisti rock». E allora buon compleanno “Banana album”, altri quaranta di questi anni, anzi molti di più.

Riccardo Marra

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