Un decollo e un atterraggio. In mezzo tanti volti, abbracci e sorrisi tra le piste, gli aeroporti, le cabine e i sedili degli aerei della Wind Jet, la low cost etnea che ha smesso di volare l’undici agosto del 2012. I dipendenti in cassa integrazione commemorano il secondo anniversario della fine dei voli della compagnia di Antonino Pulvirenti con un video che racconta di loro e di un’esperienza lavorativa la cui fine improvvisa, pur con le difficoltà che ha comportato, sembra aver lasciato nella mente solo i ricordi positivi. «Non sorridiamo perché in posa per una fotografia ma perché eravamo proprio così, felici! Felici e orgogliosi di lavorare per una compagnia aerea formata da una grande famiglia», scrive nella lettera aperta che accompagna il filmato Giuseppe Amato, l’assistente di volo che ha avuto l’idea. Dedicata a due colleghi scomparsi prematuramente, ha potuto realizzarla grazie al graphic designer Marco Muratore, a cui il video era stato commissionato come un semplice lavoro «ma, dopo aver capito la situazione e l’affetto, l’unione e la storia che lega questo gruppo di persone, anzi, questa grande famiglia allargata, ho deciso di farlo in maniera totalmente gratuita», racconta il grafico.
«Non è possibile, io non ci sto», canta Mina in sottofondo, interpretando lo stato d’animo dei lavoratori, che non si capacitano di come sia potuta finire così, come una storia d’amore interrotta senza spiegazioni. «Ci è caduto in testa un macigno all’improvviso», dice l’hostess Ermelinda Culò. La sua è una storia emblematica di come tutto può cambiare in un giorno: quell’undici agosto, mentre era in ferie, fu avvertita dai colleghi del blocco dei voli e poche ore più tardi scoprì di essere incinta. Una gravidanza non programmata, dato che al suo compagno era stata erroneamente certificata l’infertilità. «Avevamo pensato di crearci una famiglia quando l’azienda andava bene, ma non era stato possibile, e quando è crollata invece è spuntata», racconta ridendo, perché «l’esperienza è stata brutta, ma la vita continua».
A 42 anni si è ritrovata, quindi, con una figlia e senza lavoro. Adesso fa la mamma a tempo pieno, con una laurea in pedagogia nel cassetto e sette anni passati alla Wind Jet alle spalle, che per lei sono stati «una stupenda avventura, pur non essendo a favore di Pulvirenti», specifica. Come i suoi colleghi ha perso tanti soldi in seguito al concordato e, mentre aspettava la sua bambina – che ha chiamato Aurora «come una nuova vita che comincia», racconta – ha sperato che si potesse ripartire. Quando finirà la Cigs avrà 48 anni: «Mi sto rimboccando le maniche per rientrare nelle graduatorie per fare l’insegnante, ma alla mia età è tutto più difficile», ammette. «Noi per gli altri siamo quelli del “va be’ hanno la cassa integrazione e possono campare” e invece no, siamo in stand-by e non produciamo nulla, e questo – come la chiusura della società – è un danno per la Sicilia», dice. Il rimpianto per la sorte della compagnia c’è sempre: «Bastavano pochi soldi per aiutarci – dichiara – o un arabo in più che, oltre alla Perla Ionica, comprasse anche la Wind Jet».
Anche altri suoi colleghi hanno deciso di smettere di volare, come Alessandro Abbate, 35 anni, tre figli di sei e quattro anni, 15 anni di lavoro in compagnie aeree alle spalle di cui otto come capo cabina nella low cost etnea. Non ha ancora trovato un lavoro, ma da poco ha concluso un corso di visual merchandiser a Milano. «L’ho scelto dopo aver fatto una ricerca sulle professioni più richieste del momento», confessa. Anche lui non se l’aspettava: originario di Palermo, dopo anni di spola, proprio nel 2012 si stava trasferendo con la famiglia a Catania, «ma abbiamo dovuto cambiare tutti i programmi», racconta. «La vita – aggiunge – da movimentata è diventata ferma». Adesso è disposto a trasferirsi ovunque per un lavoro, ma non per volare, perché «con tre figli, è impossibile lavorare per tre mesi con i contratti stagionali: a stento recuperi le spese – spiega – In Italia le compagnie non esistono più e le altre pagano poco e prendono chi è alle prime armi e si può accontentare».
Della stessa opinione è Carmela Tiralongo, 46 anni, hostess dal 1995 e dal 2004 dipendente Wind Jet, per cui è stata anche capo degli assistenti di volo. «Alla mia età elemosinare due tre mesi di lavoro per essere trattata come l’ultima ruota del carro non mi va e non posso più permettermi di perdere tempo», afferma. Dopo la chiusura di Wind Jet ha dovuto rispolverare l’abilitazione ad insegnare inglese alle elementari e quest’anno si è spostata a Roma per farlo. «Prima insegnavo agli assistenti di volo, adesso ai bambini – racconta – Non è la stessa cosa. Da una vita frenetica, in cui per tanto tempo ho trascurato anche la salute – solo poche settimane prima della chiusura ho scoperto di essere celiaca – in cui luglio e agosto erano i mesi più pieni, sono passata a una più tranquilla e sedentaria. Ma – aggiunge – la prima l’avevo scelta io ed è stata dura abituarsi. Specialmente il primo anno, mi sono ritrovata a chiedermi spesso “e adesso che faccio della mia vita?”».
Il cambiamento non è dipeso da lei, «ma ci si adatta e si ricomincia da zero», dice. «Anche se è un gran peccato, è una delle cose più incomprensibili che mi sia mai capitata – afferma – Con gli aerei sempre pieni è più difficile da capire». Come i suoi colleghi è ancora incredula e arrabbiata: «Noi non siamo sotto l’ala del governo e ci hanno mollati senza una parola, mentre per Alitalia si sbracciano tutti», riferendosi anche alle recenti dichiarazioni del presidente Enac Vito Riggio. Nonostante tutto, però, la speranza di tornare a volare non si spegne, magari di nuovo in Sicilia: «In fondo al cuore c’è sempre – dichiara – Non si cancella una vita in pochi mesi, ma nel frattempo vado avanti perché il tempo e la banca non aspettano e ho anche il mutuo da pagare».
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