Voti e processi, perché si parla tanto della sentenza Cavallo Caso delle intercettazioni nelle vicende di Termini e Messina

Messina chiama e Termini Imerese risponde. Tra assoluzioni e proscioglimenti in queste ore si parla tanto degli effetti, su due procedimenti, della cosiddetta sentenza Cavallo, dal nome di una pronuncia della corte di Cassazione del 2020. Il caso del Palermitano, in fase di udienza preliminare, vedeva sott’accusa 87 persone. Dall’ex governatore Totò Cuffaro, passando per l’attuale assessore regionale all’Ambiente Toto Cordaro, fino al deputato di Diventerà Bellissima Alessandro Aricò. Nel capoluogo peloritano, invece, l’inchiesta Matassa aveva portato alla sbarra, tra gli altri, l’ex parlamentare Francantonio Genovese e il cognato, ex deputato regionale, Franco Rinaldi

A Termini Imerese la gup
Valeria Gioeli ha mandato a processo soltanto 18 degli 87 indagati per voto di scambio, attentato ai diritti politici degli elettori e altri reati. A Messina nel processo di secondo grado sono state inflitte 22 condanne e 16 tra prescrizioni e assoluzioni. Sotto la lente d’ingrandimento era finito il presunto connubio tra mafia e politica in diverse competizioni elettorali tra cui le Regionali del 2012 e le Amministrative del 2013. In primo grado gli imputati erano stati quasi tutti condannati. In questo scenario generale un ruolo fondamentale è quello rivestito dalle intercettazioni telefoniche, autorizzate per un procedimento con una ipotesi di reato e poi confluite in altri filoni venuti alla luce mano mano che gli investigatori spiavano i segreti degli indagati. 

Sul punto, in via generale, il
codice di procedura penale rimanda all’articolo 270, secondo cui «i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza». Le Sezioni unite cercano di analizzare, nella sentenza Cavallo diventata celebre in questi giorni, cosa si intende «per procedimento diverso» in cui le intercettazioni non sarebbero utilizzabili. Negli anni ci sono stati molteplici orientamenti: da quelli più formali, secondo cui numeri di procedimenti diversi ne segnerebbero la definitiva distanza; altri che badano alla storia dei processi, spesso nati all’interno di un unico procedimento poi suddiviso in più filoni ma che resterebbero tra loro collegati. 

C’è poi, ed è questa alla fine la soluzione preferita dalla Sezioni unite,
chi bada alla sostanza: fatti salvi gli altri riferimenti del codice di procedura penale, per utilizzare nella trattazione di un reato le intercettazioni nate per indagarne un altro, serve che il giudice indichi in maniera inequivocabile che i due reati sono connessi oggettivamente, per le prove o per finalità. E nel caso dell’ormai nota sentenza Cavallo il problema sarebbe stato proprio questo: le Sezioni unite hanno accolto il ricorso dei difensori perché questo nesso non sarebbe stato espresso abbastanza chiaramente. Si indagava e intercettavano due persone ipotizzando il reato di rivelazione di segreto d’ufficio e venne fuori un terzo soggetto, poi accusato di peculato e falsità ideologica

Cosa è successo a Termini Imerese e Messina? Bisogna precisare che la sentenza Cavallo in realtà non sembra essere stata decisiva per le assoluzioni e i proscioglimenti di tutte le persone coinvolte. Lo è stato nel caso dell’ex deputato Salvino Caputo. Nel suo caso le intercettazioni erano partite in un fascicolo sui furbetti del cartellino mentre l’accusa finale era quella di attentato ai diritti politici dei cittadini. Così la giudice le ha dichiarate inammissibili. Per l’assessore Toto Cordaro, come spiega l’avvocato Dario Vecchio a MeridioNews, non è stato necessario richiamare la sentenza Cavallo. È bastato l’articolo 266 del codice di procedura penale che dispone come le intercettazioni siano consentite «quando è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni». Sul fronte messinese l’avvocato Nino Favazzo, che difende Genovese, si è invece soffermato nel merito dell’accusa poiché «l’associazione a delinquere non sussisteva».

Dario De Luca

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