Vivere alla grande, in Sicilia il doc contro l’azzardo Il regista: «Giocare è ritenuto come bere un caffè»

«Il gioco d’azzardo è l’unica impresa senza rischi di impresa. È un polipo coi tentacoli lunghissimi che arrivano ovunque. E quel che è peggio è che giocare alla lotteria o grattare un tagliandino viene ritenuto normale, come bere un caffè». Ha le idee chiare il giovane regista pugliese Fabio Leli. Il suo documentario Vivere alla grande, che descrive la proliferazione dell’azzardo in Italia, è altrettanto tagliente nel linguaggio utilizzato per la promozione. Si parla di «contagio», di «invasione», di «attacco» e di «nemico». Adesso il film torna in Sicilia, per due appuntamenti: il 18 marzo a Palazzolo Acreide (Siracusa) e il 20 marzo a Gela

Leli è già stato nel Palermitano lo scorso gennaio, invitato dal parroco di Caccamo, Giuseppe Calderone. Una tre giorni organizzata dal prete a seguito di tre suicidi che sarebbero stati legati a debiti di gioco. «La situazione era abbastanza tosta – ammette il regista -. Non si voleva che le morti fossero riconducibili all’azzardo. Comunque alle proiezioni il cinema era pieno». Adesso il ritorno nell’isola, anche per appurare il livello di diffusione del problema. «Campania e Lombardia sono sicuramente più invase, ma la Sicilia è comunque superiore alle medie». Gli ultimi dati disponibili non sono quelli diffusi dai Monopoli di Stato, ma devono essere ricavati da varie fonti. «Dal 2014 i Monopoli (accorpati da due anni all’Agenzia delle Dogane, ndr) hanno smesso di pubblicare il volume totale delle puntate e delle scommesse degli italiani – conferma Leli – quindi si può parlare di stime. È evidente che c’è del marcio dietro, un’omertà riconducibile alla politica». 

Non è però questo il motivo principale che ha spinto il giovane regista a occuparsi di gioco d’azzardo. «Sono partito dall’invasione degli spazi umani a Roma nel 2010 – racconta -. Fu l’anno del boom dell’azzardo, complice il terremoto dell’Aquila e le manovre dell’allora governo Berlusconi che incentivò a giocare per ripagare coi proventi la popolazione abruzzese. Io venivo da Bari e facevo l’accademia nella capitale. Trovai la città invasa da slot e centri scommesse: anche se mi colpirono di più i tabacchi, ormai diventati mini casinò». Tre anni di ricerche, studi e interviste in giro per l’Italia per realizzare Vivere alla grande, che prende il nome da uno dei più celebri Gratta&Vinci. Quelli che già alla fine degli anni ’80 venivano definiti dalla coppia di scrittori Fruttero e Lucentini «un azzardo di rapida e puerile facilità, che invita all’automazione degli insetti». Un film che, come tiene a precisare lo stesso Leli, «è fuori sia dal circuito commerciale gestito dalle multinazionali che da quello alternativo gestito dal ministero». E che è stato possibile realizzare anche grazie al crowdfunding

A differenza di quanto si potrebbe supporre, non è stato difficile ottenere le testimonianze, soprattutto da parte di chi gioca. «In realtà sembrava che le persone non aspettassero altro che parlare – sottolinea l’autore del documentario -. Il problema è che il gioco d’azzardo viene ritenuto positivo, sono i media ad averlo raccontato in questo modo. Diventa difficile far nascere l’interesse, ma una volta che la gente entra in sala ne esce stravolta. Le facce del pubblico cambiano totalmente durante la visione».

Andrea Turco

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