Vittorio Emanuele, aree distrutte e nel degrado Vecchie bombole di ossigeno dietro Ginecologia

Gli edifici antichi lasciati all’incuria del tempo, con i loro fili della luce scoperti e l’intonaco cadente, riportano i pazienti del Vittorio Emanuele di Catania al periodo in cui il giardino venne sottratto ai frati Benedettini per diventare uno dei più grandi ospedali della città. Gli anni del fascismo che diede il nome alla struttura ed eresse i principali padiglioni. Da allora però, alcune zone interne sono praticamente abbandonate, trasformate in parcheggio per le vetture dei dipendenti o in piccole discariche di rifiuti. 

È questo il caso dell’area di confine che separa il presidio dai locali dell’ex Monastero, affidato ora alle cure dell’università di Catania. Un lembo di terra alle spalle della cosiddetta Clinica ostetrica, il reparto di Ginecologia, collegato da un ponte, ormai in parte rovinato e pieno di spazzatura. Tra le fioriere secche germogliano bicchieri di caffè, bottiglie di plastica e materiale di risulta

Un barile arrugginito dagli agenti atmosferici è poggiato sul pavimento. Una distesa di mattonelle rimosse e terra bianca, rotte dal peso delle macchine che da anni parcheggiano lì. E davanti quelle che una volta erano le sale operatorie dell’Ostetricia, un deposito di vecchie bombole d’ossigeno, anch’esse lasciate all’azione di sole, vento e pioggia. Nonostante l’etichetta posta su ognuna di esse affermi che, una volta terminato il contenuto, debbano essere smaltite e consegnate al fornitore. Cosa che evidentemente non avviene da anni nonostante la direzione dell’ospedale rassicuri sull’assenza di pericoli per l’utenza

«Quella parte dell’ospedale è sempre stata abbandonata – commenta un dipendente – ora però, visto che molti reparti saranno trasferiti al Policlinico, si è trovata la scusa per non fare i normali lavori di manutenzione». «Il Vittorio Emanuele è un ospedale in dismissione – continua – nonostante il suo passato e la sua storia, sarà sempre più vuoto. Chissà cosa diventerà una volta che le principali specialità andranno via. Detto questo, nel frattempo, non è possibile lasciare tutto così».

Mattia S. Gangi

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