«Sono una vittima della malagiustizia, di un macroscopico errore giudiziario legato a una serie di equivoci e interpretazioni errate delle intercettazioni, nonché di killeraggio mediatico. Il provvedimento cautelare, non a caso, è stato annullato per mancanza di indizi di reato. Voglio sin da ora ringraziare coloro che mi sono stati vicini in un momento tanto delicato, sia pubblicamente che in forma privata».
È iniziata così la conferenza stampa fiume con la quale l’ex sindaco di Vittoria, Giuseppe Nicosia, si è tolto questa mattina un po’ di sassolini dalla scarpa, dopo la revoca degli arresti domiciliari notificati nell’ambito dell’operazione Exit Poll che ha scosso profondamente la città, rendendo necessario l’arrivo di una commissione prefettizia tuttora all’opera a Palazzo Iacono.
Nicosia ha detto la sua su ogni accusa che gli è stata contestata, alla presenza dell’ex assessora Nadia Fiorellini, indagata, e del fratello Fabio, anch’egli finito ai domiciliari e che ha preferito non parlare, se non della decisione di rassegnare le proprie dimissioni dalla carica di consigliere comunale. «Siamo assolutamente estranei a tutti i fatti contestati – ha detto Nicosia -. La notifica dell’ordinanza degli arresti è stata una messinscena, con la quale è stato violato persino il codice di procedura penale, che traccia un solco netto tra l’esecuzione della misura in carcere a soggetti pericolosi, mediante l’utilizzo di elicotteri, uomini e armi spianate, e una semplice notifica che può operare anche l’ufficiale giudiziario, il poliziotto o il carabiniere. Ci hanno circondato nel cuore della notte neanche fossimo il covo di Messina Denaro, e in casa dormiva un bambino di cinque anni, solo per avere immagini sensazionali da proiettare in conferenza stampa».
Detto questo, Nicosia è passato all’analisi del primo punto: i rapporti con Venerando Lauretta. «Questa persona ha molti motivi per odiarmi – ha detto Nicosia – dato che da sindaco, nel 2008, assegnai la sua casa, precedentemente confiscata dallo Stato, a una cooperativa sociale. Non solo, ricevetti anche una sua lettera di protesta dal carcere, che trasmisi alla Procura, quando, nel 2015, decisi di chiudere il box 65 al mercato ortofrutticolo, sul quale aveva messo le mani. Sarei stato, quindi, un folle a chiedergli aiuto in campagna elettorale», ha aggiunto, mentre secondo i magistrati proprio Lauretta avrebbe ambito a riavere la casa in cambio dell’appoggio elettorale a Fabio Nicosia. Quanto al passaggio del fratello dal magazzino di Titta Puccio – esponente del clan mafioso Dominante-Carbonaro – per lasciargli i volantini elettorali, l’ex sindaco commenta: «Mi chiedo dove stia il reato. Può essere discutibile, ma come può diventare scambio politico mafioso? Da quel magazzino, come dagli altri del territorio, sono passati in tanti e nulla toglie che poco dopo quei volantini siano finiti nel cestino – continua -. Addirittura leggo che lo scambio sarebbe avvenuto ad opera di Di Pietro (Raffaele, ritenuto intermediario tra i Nicosia e gli esponenti malavitosi, ndr) che, in una intercettazione, dice che sarebbe passato a ritirare i cartoni. Ma cosa ci può essere di anomalo dato che stiamo parlando di un netturbino?».
Come spiega allora l’ex sindaco la famosa immagine della stretta di mano diventata emblema dell’operazione? «Si è trattato di un fotomontaggio ad hoc per dimostrare questi contatti strani, ma non è mai successo nulla di simile e sono felice di queste intercettazioni prolungate perché testimoniano la mia estraneità ai fatti – attacca -. Non esiste né una telefonata né un incontro con i personaggi coinvolti, molti dei quali inseriti in un secondo momento nell’indagine perché nel 2016 non erano menzionati».
Gli inquirenti motivano gli arresti facendo riferimento all’imminente campagna elettorale per le Regionali. Nell’ordinanza, si legge testualmente, «appare infatti fortemente fondato il pericolo di reiterazione delle condotte». A riguardo Nicosia ha replicato: «Per leggere qualcosa di simile dobbiamo tornare al periodo fascista. Come si fa a motivare un arresto con una campagna elettorale? Sono stato indicato come soggetto che avrebbe potuto candidarsi, ma a parte il fatto che avevo lasciato il Pd e detto che non avrei più fatto politica finché non avessi ripulito la mia immagine dall’indagine dell’anno scorso, anche quando lo avessi fatto o un soggetto è socialmente pericoloso o non lo è».
Sugli indagati seduti accanto a lui. «Fabio e Nadia sono vittime della vendetta che si vuole consumare nei miei confronti per il modo in cui ho combattuto il malaffare», ha rilanciato. Il riferimento è alle oltre cinquanta citazioni civili contro il clan Dominante-Carbonaro portate in Tribunale e alle costituzioni di parte civile nei confronti delle vittime di mafia. «Hanno utilizzato il mezzo della calunnia per vendicarsi e mi aspetto altri attentati alla mia persona», ha detto.
Un capitolo a parte riguarda l’identificazione del Moscato citato nelle intercettazioni. Secondo Nicosia, non è detto che si tratti dell’attuale primo cittadino che, secondo la Dda di Catania, avrebbe beneficiato del supporto dei due fratelli per il ballottaggio dell’anno scorso. «Potrebbe essere l’avvocato Roberto Moscato che ha avuto incarichi dal Comune mentre Giovanni Moscato da me ha ricevuto solo i gettoni di presenza. La verità è che ho chiesto agli esponenti del mio ex partito di non andare a votare al ballottaggio».
In ultimo la questione dell’assunzione dei 60 netturbini, ritenuta il motivo della sudditanza di Giovanni Moscato nei confronti di Nicosia e oggetto del voto di scambio. «La legge è chiara – ha spiegato Nicosia – e dice che ci dev’essere un passaggio di consegne dall’azienda uscente a quella entrante, con la comunicazione dei nominativi degli operai assunti a qualsiasi titolo nei 240 giorni precedenti. Viene ipotizzato che io abbia consegnato questo elenco, ma anche in questo caso temo che ci sia stata un’omonimia col dottor Gaetano Nicosia, funzionario esterno che seguiva i lavori dell’azienda di nettezza urbana. Senza considerare – ha concluso l’ex sindaco – che non c’è alcuna stabilizzazione, è l’azienda che decide il da farsi e quanto personale impiegare in base al lavoro che deve svolgere sul territorio».
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