Vittoria, clan Ventura imprenditore negli imballaggi «Estorsioni a tappeto e commercianti sottomessi»

«Siamo della famiglia e prima di mezzogiorno ci devi consegnare cinquemila euro». Non servivano condotte particolarmente violente o minacce eclatanti: gran parte degli imprenditori del mercato ortofrutticolo di Vittoria avrebbe pagato il clan Ventura. «A tappeto, c’era un’assoluta sottomissione delle attività commerciali», ammettono gli inquirenti della Procura distrettuale di Catania che ha coordinato le indagini. Si chiama Survivors l’operazione che ha sgominato il gruppo della Stidda che aveva il controllo dell’economia vittoriese, fino a Comiso. Quindici persone, di cui 14 erano a piede libero, sono state arrestate. A tirare le fila delle attività criminali c’era Filippo Ventura, che dopo aver scontato 33 anni di carcere avrebbe ripreso il suo posto al vertice del clan. Anzi, da quel posto di comando non se ne sarebbe mai andato secondo gli investigatori: anche da dietro le sbarre, nel lungo periodo di detenzione, avrebbe continuato a dettare ordini, attraverso il fratello Giambattista, pure lui arrestato la scorsa notte. 

«Abbiamo aggiornato mappa e attività della Stidda a Vittoria – sottolinea Carmelo Petralia, procuratore aggiunto di Catania ma fino a poco tempo fa numero uno della Procura iblea -. Una mafia che pratica le estorsioni con metodi raffinati, apparentemente indolore, come imporre a commercianti e imprenditori di scambiare in contanti degli assegni». Non solo le classiche attività illecite della criminalità organizzata: anche la Sitdda si sarebbe fatta imprenditrice. I soldi ricavati dal pizzo infatti sarebbero stati investiti in una delle principali ditte nel settore degli imballaggi: la Lineapack, azienda che produce cassette, bancali e vaschette di plastica per prodotti ortofrutticoli. 

Secondo le indagini svolte in sinergia da carabinieri e polizia, la Lineapack (formalmente di proprietà di Maria Cappello, moglie di Giambattista Ventura) sarebbe gestita dallo stesso Giambattista Ventura, dal figlio Angelo detto Elvis, insieme a Enzo e Francesco Giliberto (padre e figlio, entrambi arrestati). E per questo è stata sequestrata. «Parliamo di un settore fiorente nel Ragusano – precisa Antonino Ciavola, capo della squadra mobile di Ragusa – e di un’azienda con un fatturato da diversi milioni di euro». Proprio la sede dell’impresa finita sotto sigilli sarebbe stata il quartier generale del gruppo mafioso, lì si sarebbero svolte le riunioni per pianificare le attività criminali. 

A finire vittime di estorsioni sarebbero stati anche imprenditori del settore delle onoranze funebri. Vincenzo Ventura, insieme ad Angelo Cutello con cui condivide la gestione di un’agenzia di pompe funebri, avrebbe tentato, senza però riuscirci, di farsi cedere da un concorrente l’organizzazione di tutti i funerali che si svolgevano a Scoglitti, frazione marinara di Vittoria. Solo alcuni, però, hanno ammesso alle forze dell’ordine di subire questo tipo di violenza. «Nessuno si è presentato spontaneamente, ma alcuni, una volta raggiunti da noi, hanno collaborato – spiega il comandante provinciale dei carabinieri, Federico Reginato – e questo è importante perché viene scalfito il muro di omertà». Oltre all’azienda Linepack sono finiti sotto sequestro due terreni con alcune serre, «formalmente di proprietà di soggetti esterni alla famiglia Ventura – spiega Valentina Sincero, sostituta procuratrice della Dda etnea – ma di fatto nella disponibilità di Filippo Ventura, visto che la moglie ne riscuoteva il fitto senza alcun titolo». 

Un gruppo attivo e pericoloso, quello fermato oggi, che poteva contare su un arsenale di armi pronte all’uso che è stato sequestrato alcuni mesi fa. Le indagini sono partite nel 2009, dopo l’arresto di Vincenzo Latino e Giuseppe Doilo e, grazie alla collaborazione di alcuni pentiti, tra cui determinante è risultato Rosario Avila, hanno permesso di disegnare la mappa aggiornata della Stidda vittoriese. «Al momento – assicura il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro – tutti i personaggi più pericolosi sono in carcere».

Salvo Catalano

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