Violenza sulle donne, i casi di codice rosa in Sicilia Esperta: «Sono ancora troppe le donne a tornare»

Quando una donna arriva al pronto soccorso e il medico segna certi parametri, sul software il suo nome si evidenzia automaticamente di rosa. È un colore a fare la prima diagnosi di violenza di genere. Accade anche in Sicilia da quando, con una direttiva regionale che ha fatto dell’Isola una delle prime regioni a proporre la sperimentazione, è stato inaugurato il codice rosa. Eppure, a distanza di quattro anni, ancora non tutti i territori riescono a garantire il servizio in modo omogeneo. A Palermo il codice è realtà già da una decina di anni anche se ancora non esiste un archivio informatizzato. A Ragusa e Siracusa il servizio, invece, è più recente ma sul territorio è attiva una buona rete di ospedali che collaborano tra loro e gli altri soggetti e anche istituzionali coinvolti nel protocollo. Nel Catanese il servizio è stato attivato da qualche mese, mentre le altre province stanno iniziando adesso a fare i primi passi.

Ciò che è certo è che ancora non esiste una raccolta dei dati fatta in modo standardizzato. Maria Pia Randazzo, dell’ospedale Papardo di Messina, segue e coordina il progetto a livello regionale. «Stiamo tentando di uniformare gli standard dell’accoglienza per quanto riguarda soprattutto le stanze rosa dove viene portata una donna quando arriva con ferite o traumi sospetti», spiega a MeridioNews. Lì, lontana dal caos tipico dei pronto soccorso, trova un’equipe specializzata composta da medici, infermieri, psicologi e forze dell’ordine. «L’elemento più importante sul quale stiamo lavorando è il riconoscimento perché ancora è grave il problema delle vittime che non emergono e chi denuncia è solo la punta dell’iceberg di un sommerso che non riusciamo ancora a identificare». È per questo che è stato sviluppato un software specifico per intercettare i dati che riconducano alla violenza di genere, già attivo nelle Asp di Messina e di Ragusa. Funziona con un algoritmo che sulla base degli accessi ripetuti e di alcuni parametri registrati «dà un alert che stimola gli operatori sanitari a prestare maggiore attenzione». 

Nel Palermitano, che come detto è la provincia siciliana dove la rete antiviolenza con il protocollo istituzionale esiste da più tempo, dal 2008 a oggi sono cinquecento i casi di donne assistite – la fascia più numerosa è quella 25-40 anni, seguita da chi ha tra i 16 e i 25 anni -, con un incremento del dieci per cento ogni anno. Letto così il dato può sembrare allarmante ma, in realtà, «questo dimostra che la rete funziona» spiega la psicologa e psicoterapeuta dell’Asp di Palermo Maria Luisa Benincasa, che è anche la responsabile del centro specialistico Armonia per la cura dei traumi da abuso, maltrattamento e stalking nonché referente regionale del Cismai (Coordinamento italiano servizi maltrattamento all’infanzia). «Il disturbo post-traumatico di chi è stato esposto per anni a maltrattamenti non riguarda più – sottolinea – solo le donne che lo hanno subito fisicamente, ma si allarga anche ai minori che assistono alla violenza domestica e che riportano danni e disturbi psicologici». 

In provincia di Ragusa, il codice rosa nasce a novembre del 2013 per iniziativa di Biagio Aprile che ancora oggi ne è il coordinatore. «Siamo l’unica azienda in Sicilia – spiega – che ha una statistica informatizzata in cui vengono registrati tutti i casi di accesso al codice rosa dei pronto soccorso (Ragusa, Modica e Vittoria, ndr)». Nel primo anno di vita del codice i casi registrati sono stati 101. Il 27 per cento delle donne di nazionalità straniera, mentre il 74 per cento di italiane. La fascia più colpita, con un 39 per cento, è quella dai 29 a 38 anni, mentre i casi in cui le vittime hanno meno di 18 anni sono l’11 per cento. L’anno dopo, i casi sono stati 76, con un 19 per cento di donne straniere e il 57 per cento italiane. La fascia con più accessi è rimasta quella fra i 29 e i 28 anni, mentre minori sono stati il 7 per cento. Un significativo calo si è registrato nel 2015 quando in totale sono stati individuati 23 casi. Nel 2016, la cifra è salita nuovamente (43), così come nell’anno in corso nel quale si è giunti già a 52 segnalazioni, delle quali tre con prognosi superiore a un mese e altrettanti riguardanti minori. «Si tratta di casi in cui la donna denuncia di essere aggredita da persona nota, generalmente il fidanzato, il marito, il convivente o un ex – spiega -. A quel punto intervengono i nostri assistenti sociali e psicologi, poi la donna viene accompagnata anche dalle associazioni antiviolenza che forniscono il supporto necessario. Qualcuna entra ancora dicendo che è stato un incidente domestico, per questo – sottolinea Aprile – la cosa su cui puntiamo di più è la formazione, sia in campo sanitario che giuridico, di tutto il personale che è coinvolto nel processo di assistenza». 

Nell’ospedale Umberto I di Siracusa il codice rosa è stato attivato nel 2014. «Prima – ricorda Adalgisa Cucè, la psicologa e pedagogista responsabile del servizio – venivano classificati semplicemente come incidente domestico». In questi tre anni, gli accessi registrati sono stati oltre 600 di cui 350 solo nel primo anno. «Spesso arrivano da noi donne vittime di violenze perpetrate nel tempo, di maltrattamenti subiti all’interno del nucleo familiare specie da parte di compagni e mariti ma anche di figli, fratelli o padri». Dai dati raccolti nell’ospedale aretuseo appare evidente che la violenza di genere è un fenomeno trasversale: «Sono donne, madri, casalinghe, professioniste, benestanti o povere e di ogni fascia di età – commenta -. La più colpita è quella fra i 20 e i 30, ma non è da sottovalutare anche la fascia delle over 50. Chiedono tutte supporto psicologico perché sono distrutte da anni di soprusi. Il dato più allarmante riguarda il fatto che sono ancora tante a tornare in codice rosa». 

A Catania, infine, in un anno di attività all’ospedale di Acireale sono stati 53 i casi di violenza seguiti, dei quali quattro quelli in cui la donna è stata vittima di violenza sessuale.


Marta Silvestre

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