Formazione, assistenza ed estensione del servizio: tre fasi danno vita al progetto Donne a colori – libere dalla violenza dell’associazione Thamaia all’ospedale Vittorio Emanuele. La onlus – che dal 2003 gestisce a Catania un centro antiviolenza per donne vittime di maltrattamenti – ha deciso di estendere il proprio servizio anche alle migranti, creando uno specifico sportello. L’inaugurazione è fissata per domani mattina nel padiglione 10 B del nosocomio. Un punto di riferimento che sarà attivo lunedì e venerdì dalle 9 alle 13, contestualmente a un numero di telefono (3923121823) deputato all’ascolto. A spiegare a MeridioNews caratteristiche e finalità del programma è la coordinatrice Anna Agosta.
«Dai dati Istat aggiornati a luglio 2014 risulta che solo il dieci per cento delle richieste di aiuto indirizzate al servizio nazionale antiviolenza proviene da donne straniere. Queste persone, però, subirebbero violenza in proporzione maggiore (53,8 per cento) rispetto alle italiane (34,6 per cento)», spiega Agosta. Che considera quei dati il punto di partenza di una riflessione che presto si sposta dal piano nazionale a quello locale. «Solo il nove per cento delle donne migranti presenti nella provincia di Catania si rivolge al servizio, pur rappresentando il 53 per cento della popolazione straniera», precisa la coordinatrice.
Un dato allarmante che ha spinto i componenti dell’associazione a cercarne le cause con l’obiettivo di studiare un’adeguata strategia. «Nonostante la presenza di campagne di sensibilizzazione, c’è un problema di accesso alle informazioni da parte delle migranti – spiega Agosta -. A questo si aggiunge una scarsa consapevolezza dei propri diritti: molte donne subiscono violenza ma non la percepiscono come tale». Da qui l’idea dello sportello al Vittorio Emanuele, dove verrà sempre garantita la presenza di una mediatrice culturale e di un numero di cellulare al quale potersi rivolgere per ogni tipo di assistenza. Un risultato che è il frutto di un lungo e articolato percorso sviluppato attraverso tre fasi.
«Dapprima abbiamo chiesto la collaborazione di associazioni che si occupano di migranti, abbiamo attivato un corso di formazione per gli operatori del settore sul tema della violenza di genere, poi – prosegue Agosta – abbiamo deciso di aprile lo sportello all’interno di un ospedale». La scelta in questo caso non è stata casuale poiché «la prima esigenza di una donna extracomunitaria è l’assistenza sanitaria e la nostra presenza nella struttura può favorire un primo contatto con le donne che subiscono violenza», racconta Agosta. Che precisa come l’ultima fase dell’idea sia stata la volontà di implementare la rete antiviolenza della onlus, grazie ad agenzie che si occupano di immigrazione.
Una collaborazione definita da Agosta uno «strumento privilegiato per aggiornare gli operatori e le operatrici del settore e sviluppare strategie sempre più efficaci di contrasto alla violenza». Il progetto, però, ha dovuto fare i conti anche con gli aspetti economici. Anche perché da anni ormai i centri antiviolenza sarebbero oggetto di tagli da parte degli enti locali e del governo centrale. «Ringrazio la Chiesa valdese perché è l’unica che finanzia il nostro progetto. Grazie ai suoi componenti – conclude Agosta – siamo riusciti a tenere aperto il centro Thamaia e oggi abbiamo potuto avviare questo nuovo progetto che proseguirà anche su base volontaria».
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