«Per ogni donna uccisa non basta il lutto, pagherete caro, pagherete tutto». A gridare cori come questo, dal Teatro Massimo a piazza Pretoria, è davvero una marea umana, fatta di donne, uomini, famiglie, studenti, associazioni. Tutti uniti per dire no alla violenza maschile sulle donne. E il lavoro di sensibilizzazione da fare sembra essere, oggi, ancora tanto, a giudicare dai tanti curiosi fermi sui marciapiedi di via Maqueda attratti da questa marea e intenti a scattare foto ricordo, privi però dell’istinto di unirsi alla marcia. «Siamo tante e siamo incazzate. Siamo qua per dire che la vera lotta si fa non aspettando l’episodio che fa scandalo, ma scendendo nelle strade, battendoci contro il sistema patriarcale», urlano al megafono. E l’attimo dopo sono applausi e nuovi cori a ripetizione, senza sosta, quasi a voler sfiancare gli ostinati che proseguono come se niente fosse la propria passeggiata del sabato pomeriggio. «Non siamo vittime, siamo donne ribelli e non siamo addomesticabili».
Una marcia per dire di no ai modelli di donna già confezionati e propinati dal sistema, dagli altri. «Se l’è cercata, ma cosa si aspettava, l’ha uccisa perché l’amava troppo. Basta con le solite frasi, basta con le giustificazione», continuano al megafono. Lottare ogni giorno per i diritti, senza aspettare il violento di turno e la solita, ma spesso inefficace, macchina degli aiuti che si mette in moto. Quello che è ormai a tutti gli effetti riconosciuto come fenomeno non può essere relegato al singolo episodio da condannare e superare, ma come condizione sistemica da destrutturare nel quotidiano. Un fenomeno che ha assunto ormai da tempo una dimensione quotidiana e forme sempre più diversificate. «La violenza non è mai un fatto privato, ma qualcosa che ci riguarda tutti da vicino, continuiamo a essere marea e burrasca anche dopo il 25 novembre», continuano al megafono, sullo sfondo prima del teatro Massimo e poi di palazzo delle Aquile illuminati, in occasione della giornata, di rosso.
L’arrivo a piazza Pretoria è sancito da un appello di Osas Egbon, presidente dell’associazione Donne di Benin City, e da un minuto di silenzio per tutte le donne vittime di tratta. E poi via con un applauso corale che sa di liberatorio, musica e letture tratte da testi scelti ad hoc che affrontano il tema della violenza di genere letti dalle studentesse del liceo scientifico Ernesto Basile. E questo è indubbiamente il momento più alto e toccante dell’intera manifestazione, con la fontana Pretoria a incorniciare tutto. «Spesso questa stessa violenza di cui parliamo oggi la subiamo anche e soprattutto da altre donne, che assumono senza rendersene conto lo stesso atteggiamento maschilista di un uomo. Una giornata come questa può essere solo un inizio per raccontare, fare rete ed essere unite contro un sistema che contribuisce a generare solo fobia e sessismo e che raggiunge il suo apice con la violenza fisica, che è solo l’atto finale, ma che si manifesta già attraverso pubblicità, manifesti e stereotipi. Oggi è un inizio per conquistarci i nostri spazi di libertà», dichiara Claudia Borgia dell’assemblea cittadina contro la violenza maschile sulle donne. L’augurio, alla fine di tutto, è che soprattutto le donne imparino finalmente a fare squadra per essere davvero libere.
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