Violenza contro le donne, mobilitazione anche a Palermo «Il 70% di quelle uccise aveva denunciato i persecutori»

«Riprendiamoci la libertà». È sull’onda di questo slogan lanciato per prima da Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che piazza Verdi, insieme ad altre cento piazze italiane, si è tinta di rosso oggi pomeriggio, per ribadire il proprio no alla violenza contro le donne e la depenalizzazione del reato di stalking. E a raccogliere l’appello, sposato anche da numerose associazioni cittadine e nazionali, è stata una folla festosa di gente, con i colori dello Sherbeth Festival a fare da sfondo in un’affollatissima via Maqueda. «Sono qui per tutte le donne, ma ancora di più per tre sorelle arrivate a Palermo dall’Africa come me tanti anni fa, ma che sono state uccise». Una di queste è stata ammazzata da un palermitano nel 2011, l’ha portata con l’inganno nella sua casa a Misilmeri e dopo le ha dato fuoco. «Aveva preso la strada della Favorita», e malgrado siano passati degli anni, gli occhi di Osas si velano di lacrime mentre lo racconta. Lei è una di quelle che ce l’ha fatta e oggi è la presidente dell’associazione Donne di Benin City, che aiuta le donne a liberarsi dal giogo drammatico della tratta e della prostituzione.

«Nessuna delle tre è una sorella di sangue, come direste qui, ma per me è come se lo fossero perché proveniamo tutte dallo stesso luogo, abbiamo affrontato lo stesso viaggio, solo con esiti diversi». Dopo due anni da quel terribile omicidio, le indagini conducono nel 2013 al responsabile che, dopo appena sei mesi, si toglie la vita in carcere. «Sono qua per lei e per le altre come lei», ribadisce Osas. Il raduno è scandito dall’attività di volantinaggio curato dalle associazioni scese in piazza con i propri rappresentanti e puntano a sensibilizzare quante più persone possibili. Lo fanno in un’atmosfera che però sa di festa, mentre si esibisce il gruppo Woyo con musiche e danze tribali, che finiscono per coinvolgere anche i passanti fermi ad assistere. «Siamo qui per dire basta a questo fenomeno che ormai sta devastando l’Italia, non ci rendiamo conto che il problema è serio e che per combattere la violenza sulle donne la soluzione è partire da un’educazione, partire dalle scuole», ne è convinta Valeria Iovarasit, presidente nazionale di Arci Donna. Secondo lei solo partendo dai più piccoli si potranno sconfiggere definitivamente gli stereotipi e una cultura che ancora concepisce la donna solo come un oggetto da possedere e di cui disfarsi a piacimento.

«È una strada lunghissima, però è necessario percorrerla – continua la presidente – Siamo nel 2017, ma il problema c’è, persiste, ragazzi e ragazze non sanno relazionarsi in un rapporto alla pari. ‘Tu sei una mia proprietà e se mi lasci io ti ammazzo, non puoi mollarmi’, è questo che sentiamo ancora, ce lo dicono anche le cronache più recenti. Le donne sono cresciute e gli uomini no, non abbastanza almeno, questo genera ancora un conflitto, un problema non risolto fra i sessi». Dello stesso avviso anche l’assessora alle Politiche giovanili Giovanna Marano, scesa in piazza per manifestare e ribadire l’impegno dell’amministrazione comunale dimostrato in questi anni e che ha portato ad aderire alla Convenzione di Istanbul già nel 2012.

«Per combattere la violenza contro le donne occorre incidere concretamente con campagne e prevenzione che partano dalle scuole per fare della cultura del rispetto, del riconoscimento della libertà femminile. Una tappa obbligatoria della formazione, a partire dall’educazione dei più piccoli», dichiara, ma avvisa subito: «Vi è un dato allarmante di fragilità del sistema dei servizi sia di prevenzione che di tutela, come ci ricorda il fatto che il 70 per cento delle donne uccise avevano denunciato i propri persecutori». Un dato che non si può e non si deve ignorare. 

Silvia Buffa

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