Vino, pasta, olio, frutta: l’agricoltura siciliana cola a picco Il Psr 2014 come la beffa della riforma agraria del 1950

Alla fine della seconda guerra mondiale – erano gli anni in cui la Sicilia conquistava l’Autonomia – nella nostra Isola c’era il latifondo e c’erano i gabelloti che lucravano sui latifondisti (proprietari di grandi fondi, che in molti casi si estendevano per centinaia e centinaia di ettari) e sui contadini, ridotti in quasi schiavitù. La riforma agraria del 1950, con la quale l’Assemblea regionale siciliana anticipò di dieci anni la legge stralcio di riforma agraria nazionale di Antonio Segni fallì miseramente. E dire che era stata voluta dalla componente sturziana della Dc isolana (assessore all’Agricoltura era allora Silvio Milazzo, vicinissimo al prete del Calatino fondatore del Cattolicesimo sociale italiano). Ma fallì lo stesso. 

Oggi, anno di grazia 2014, in Sicilia non c’è una nuova riforma agraria. Anche perché non si capisce chi dovrebbe farla, questa benedetta riforma, dal momento che i miliardi di euro stanziati dall’Unione europea per l’agricoltura siciliana dal 2001 ad oggi sono finiti e continuano a finire, in larga parte, nelle tasche di non-agricoltori. In compenso – come ha spiegato oggi nelle pagine del nostro giornale con estrema chiarezza Margherita Tomasello, esponente di un’antica famiglia imprenditoriale che da oltre cento anni opera in un pastificio, dalle parti di Casteldaccia, in provincia di Palermo – assistiamo a un’altra forma di sfruttamento: i commercianti, che riescono, contemporaneamente, a lucrare sugli agricoltori siciliani che producono grano e sui pastifici della nostra Isola. 

Sul fronte della granicoltura oltre sessant’anni di Autonomia siciliana sono serviti a poco. Certo, non funzionano le organizzazioni agricole che non sono riuscite a consorziare tutti i produttori di grano della Sicilia per fronteggiare lo strapotere dei commercianti. Ma ha fatto ancora peggio la Regione siciliana, che ha dilapidato prima miliardi di lire a tempesta della Prima Repubblica e poi i miliardi di euro dei fondi europei. 

Fa una certa impressione prendere atto che non sono serviti a nulla, almeno in materia di granicoltura, i quasi 2 miliardi di euro di Agenda 2000 (Por 2001-2007) spesi per l’agricoltura siciliana e gli oltre 2 miliardi di euro del Piano di sviluppo rurale (Psr) 2007-2014. Non si può certo dire che il grano, in Sicilia, sia una coltura nuova, dal momento che nella nostra Isola era diffusa già ai tempi di Cicerone e di Verre (per la cronaca, in quegli anni la Sicilia era il «granaio di Roma»).

La verità è che la politica siciliana, al di là delle parole, resta profondamente intrisa di cultura mafiosa. Non c’è stato alcun report su come, tra il 2001 e il 2006, sono stati spesi in Sicilia i fondi europei per l’agricoltura. E non ci sarà un report su come stanno letteralmente sparendo i 2,1 miliardi di euro del Psr che si conclude quest’anno. 

L’attuale Governo regionale fa sapere che sul Psr 2014 siamo a buon punto, se è vero che le risorse finanziarie utilizzate sfiorano il 70 per cento. Nessun dubbio, da parte nostra, sulla quantità di fondi spesi (anzi…). Nutriamo, invece, molti dubbi sulla qualità di questa spesa, non per partito preso, ma perché non ne riusciamo a rintracciare gli effetti nel mondo agricolo siciliano. 

Proprio in questi giorni assistiamo attoniti alla seguente scena: da una parte alcune famiglie del vino siciliano (in verità, dal 1996 ad oggi, quasi sempre le stesse) già pronte a godersi gli Ocm (promozione dei vini sui mercati esteri con fondi pubblici) e la supponiamo lucrosa partecipazione all’Expo di Milano, il vero, grande affare già disseminato di inchieste giudiziarie; dall’altro lato, quasi tutte le Cantine sociali siciliane con il vino dello scorso anno invenduto e migliaia di produttori che non sanno a quale Santo rivolgersi per campare. 

Grande politica, quella della Regione siciliana nel mondo del vino: benefici e prebende a iosa al 2-3 per cento dei produttori, nulla al restante 97-98 per cento. In più, a questi ultimi e, in generale, agli altri agricoltori siciliani è stato pure sbaraccato il fondo di rotazione di 20 milioni di euro della Crias (che serviva agricoltori e artigiani) per pagare gli stipendi ai forestali. Uno sfascio totale. 

Accanto alle Cantine sociali con il vino invenduto – frutto della crisi internazionale, certo, ma frutto anche di un’inesistente politica regionale in materia di vino – c’è la crisi del grano. Con i produttori vessati. E con i pastifici siciliani che chiudono. Complice anche – come raccontato sempre da Margherita Tomasello – una grande distribuzione organizzata che fa il bello e il cattivo tempo: una grande distribuzione organizzata che riesce, contemporaneamente, a fare chiudere piccoli esercizi commerciali artigianati di piccole e grandi città e a creare enormi problemi ai pastifici siciliani. 

Chi è che autorizza l’apertura a ripetizione di centri commerciali in Sicilia? Naturalmente la Regione siciliana: prima l’assessorato alla Cooperazione, dal 2009 l’assessorato alle Attività produttive: assessorato che ha cambiato nome, mentre il prodotto, a quanto pare, è rimasto lo stesso.  

Vino, grano: se approfondiamo i temi ci accorgiamo che tanti altri settori dell’agricoltura siciliana, pur avendo grandi potenzialità, sono in crisi: l’olivicoltura da olio della nostra Isola, quest’anno, è un disastro, con una riduzione della produzione che sfiora il 40 per cento; i pomodorini e i datterini di Pachino vengono, di fatto, depredati ai produttori siciliani (0,20-0,40 euro al chilogrammo ai produttori, quando va bene) per essere rivenduti nei mercati del Centro Nord Italia a prezzi di gran lunga superiori. E via continuando con la crisi degli agrumi (a parte qualche esperimento in corso, come quello dei limoni a Siracusa: operazione in corso senza che la politica siciliana abbia fatto nulla: e forse per questo sta riuscendo), con i problemi della frutta invernale ed estiva, con l’orticoltura di pieno campo, con le serre.

Davanti a uno scenario di crisi strutturale sorge spontanea una domanda: ma a che serve l’assessorato regionale all’Agricoltura? A che serve la Regione? A spartire i soldi del Psr a figli e parenti di politici e burocrati? A che serve enfatizzare il nuovo Psr 2014-2020 se gli agricoltori siciliani, del Psr che si conclude quest’anno, sanno poco o nulla e se gli stessi cittadini siciliani non sono stati nemmeno informati su come sono stati spesi questi 2,1 miliardi di euro? Quando finirà questa presa in giro?       

       

Giulio Ambrosetti

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