Vincenzo Agostino e la verità sull’Addaura Dal 1989 chiede giustizia per il figlio

C’è un’età in cui ogni uomo avrebbe diritto a fermarsi, guardarsi alle spalle e godere di quanto seminato durante la vita. L’età del riposo in cui sono gli altri – i figli, i nipoti, gli amici – a prendersi cura di te. Per Vincenzo Agostino e la moglie, Augusta Schiera, questo momento non è mai arrivato. Strappato per sempre il 5 agosto del 1989, giorno dell’uccisione del loro unico figlio, Antonino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, incinta di cinque mesi. Antonino faceva il poliziotto a Palermo e collaborava con i servizi segreti. Ecco il motivo della sua presenza nel mare dell’Addaura il giorno del fallito attentato al giudice Giovanni Falcone. Era lì, molto probabilmente insieme ad un altro uomo del Sisde, Emanuele Piazza, anche lui ucciso, per evitare che l’ordigno esplodesse. Restare dalla parte dello Stato, quella giusta, contro chi invece remava contro, a braccetto con Cosa Nostra, gli è costato la vita. L’indagine sulla sua morte è rimasta ferma per vent’anni, riaperta solo nel 2010 grazie a nuove dichiarazioni e riscontri.

Dal 1990 i coniugi Agostino attraversano l’Italia, di paese in paese, in prima fila ad ogni evento o manifestazione che ricordi le vittime delle mafie. Instancabili nella loro richiesta di verità e giustizia, un pellegrinaggio laico in cui ad ogni tappa raccontano la tragedia che li ha colpiti, ascoltano gli altri testimoni e spronano i giovani. «Non fate come i vostri nonni, scendete in strada, tenete la testa alta e la schiena diritta, esigete legalità e trasparenza, altrimenti non avrete futuro», ripete Vincenzo Agostino, catturando l’attenzione e i cuori di chi lo ascolta. Lo fa usando parole semplici e fissando l’interlocutore con gli occhi che raccontano un dolore mai domo, ma anche una forza inesauribile. «Non ci stanchiamo perché è il Signore che ci guida – ammette il signor Agostino – una notte ho sognato una grande luce e in fondo una croce. L’ho afferrata e non l’ho più lasciata». E sono la testimonianza e la costanza a conferire alle sue parole il crisma dell’autorevolezza e della credibilità.

L’incontro con Agostino ha cambiato gli studenti dell’istituto Duca degli Abruzzi di Palermo, a due passi da Via d’Amelio. Lo hanno incontrato la scorsa estate, ad un campo di formazione di Libera, sul terreno confiscato a Cosa Nostra a Villagrazia di Carini. Quando, a settembre, sono tornati in classe hanno chiesto alla professoressa responsabile del progetto legalità di fare qualcosa, di fare in modo che le sue parole arrivassero alle orecchie di tutti gli altri studenti. È nato così, il progetto guidato dai ragazzi di Libera, culminato nel passaggio della carovana antimafia qualche giorno fa. Ad ascoltare gli studenti leggere i mille nomi delle vittime delle mafie, in prima fila, c’erano anche i coniugi Agostino che hanno accompagnato la carovana anche nel pomeriggio, arrampicandosi fino a Caltavuturo, sulle Madonie.

Qui, rivolto agli anziani che, a distanza, lo osservavano incuriositi, Vincenzo Agostino ha ricordato perché da anni non si taglia la barba, né i capelli. «Mio figlio nel portafogli portava un biglietto, in cui c’era scritto di andare a cercare dentro il suo armadio nel caso in cui gli fosse successa qualcosa – racconta Agostino – ma i suoi appunti sono stati fatti scomparire. Ho chiesto il perché al capo della polizia, al prefetto, al questore, al ministro dell’Interno, ma loro non mi rispondevano. Mi hanno preso in giro, per questo sulle bare di mio figlio e di mia nuora ho promesso di non tagliarmi più barba e capelli fino a quando non emergerà la verità».

Salvo Catalano

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