Villetta liberty demolita, un intreccio lungo un secolo Tra nobili e imprenditori, anche una famiglia sfrattata

Un’organizzazione umanitaria internazionale, un ospedale, un vescovo e una nobile famiglia palermitana. Comincia così, circa un secolo fa, la storia della villetta in stile liberty di via Ciccaglione 56, zona Borgo, cominciata a demolire ieri. Fino a qualche mese fa contesa e divisa tra più soggetti, ma per decenni abitata da una sola famiglia. I Laudani: nonni, genitori e figlia. Fino allo sgombero nel 2010 e al successivo abbandono del bene, oggetto di diverse controversie giudiziarie. Una vicenda, quella davanti ai tribunali, conclusa circa sei mesi fa con la Cassazione che ha rigettato le motivazioni degli abitanti e ha lasciato libertà al nuovo proprietario – un costruttore etneo – di mandare avanti il suo progetto per l’area. «Ma noi non ne sapevamo niente – racconta Giusy Laudani, la figlia – Lo abbiamo scoperto dalle foto su Facebook».

La storia comincia a cavallo tra due secoli. Al catasto, fanno sapere i nuovi proprietari, la villetta è stata registrata nel 1940. Ma gli abitanti e la data del lascito originario ne farebbero derivare la sua origine alla fine dell’Ottocento. Un doppio binario – reale e burocratico – che accompagna tutta la vita del bene. Di proprietà del marchese Salvatore Spinelli, viene abitato da sempre da una famiglia – i Laudani appunto -, i quali negli anni trovano un accordo anche con gli altri parenti del nobile e vivono nella villetta come ne fossero i custodi. Alla morte di Spinelli, però, il marchese decide di lasciare in eredità i due piani più dépendance a tre enti: Croce rossa, ospedale Vittorio Emanuele di Catania e l’arcivescovo di Palermo. È quest’ultimo a vendere a tre privati, creando un assetto a cinque che si manterrà per decenni. Nel frattempo la famiglia Laudani cresce: il figlio si sposa e ha una bambina. I tre, insieme ai nonni, continuano ad abitare in via Ciccaglione. Fino a quando, nel 1998, non cominciano le procedure per lo sgombero.

Ma intanto sono passati almeno trent’anni e i Laudani oppongono l’usucapione della villetta. Comincia una causa che, tra alterne ragioni stabilite dai tribunali, si conclude sei mesi fa. Quando la Cassazione dà ragione ai proprietari. La famiglia, intanto, è costretta a lasciare la casa già dopo la sentenza d’appello a loro sfavorevole. È il maggio del 2010 e si vocifera che i privati allora proprietari vogliano radere al suolo la villetta per costruire un nuovo edificio. Di recuperare il bene – non tutelato dalla soprintendenza – non si discute nemmeno. Il primo piano è inagibile da tempo, i Laudani non hanno mai avuto la disponibilità economica per ristrutturarlo e ai privati non conviene. Si dice anche, allora, che il nuovo palazzo sarebbe diventato la sede della Croce rossa catanese. 

«Io sono arrivato nel 2011, quando la villetta era già disabitata – spiega Stefano Principato, presidente della sezione etnea – Ma non ho mai trovato, nei documenti dei miei predecessori, un accenno a un simile progetto. E d’altronde sarebbe stato stupido, considerato che c’era già un mutuo, estinto da poco, per l’attuale sede di via Etnea». Il bene, anzi, sarebbe stato più un onere che un onore. «Perché i vicini ci chiamavano spesso, quando c’era da risolvere un problema», spiega Principato. Così si arriva al 2013 quando, tra una causa e l’altra, le quote dei tre privati vengono rilevate da due società: Colli e Sole, con lo stesso titolare. È Bruno Condorelli, ingegnere e costruttore, che nello stesso anno comincia l’iter burocratico per il suo progetto edilizio.

Quando, sei mesi fa, la Cassazione scrive la parola fine al contenzioso con la famiglia Laudani, Condorelli rileva anche le quote della Croce rossa e dell’ospedale Vittorio Emanuele. Il 12 agosto, intanto, il Comune rilascia la concessione a edificare in via Ciccaglione 56. E ieri cominciano i lavori di demolizione della villetta. Intervento andato avanti anche oggi, ma con un pubblico diverso. Ad assistere, infatti, non sono solo gli attuali proprietari, ma anche la famiglia Laudani, che oggi vive a Valcorrente. «Abbiamo saputo dell’abbattimento tramite Facebook», racconta Giusy, la figlia. Al dispiacere è seguita la rabbia. «Siamo subito venuti a Catania perché noi aspettavamo ancora la decisione della Cassazione – continua – Nessuno ci aveva avvertito del fatto che anche l’ultima speranza era ormai persa. E adesso vediamo la nostra casa così, distrutta».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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