Villa Tasca, Giornata mondiale delle malattie rare «Non si può curarle, ma può migliorare qualità vita»

«Nessuna malattia è così rara da non meritare attenzione». A dirlo è la dottoressa Annamaria Piccione, referente del Centro per le sindromi genetiche rare, in occasione del convegno organizzato a Villa Tasca per celebrare la Giornata mondiale delle malattie rare. Anche se forse, come lascia intendere il lungo e dettagliato intervento della professionista, rara è un termine a volte abusato e usato impropriamente: una patologia rara è tale fino al momento in cui non è stata ancora scoperta, riconosciuta e quindi diagnosticata. «Secondo l’Oms è possibile classificare tra le sette e ottomila malattie rare, divise in 24 raggruppamenti – spiega Piccione – Un bambino ogni duecento è affetto da una disabilità complessa, quindi qual è la rarità?», domanda. Secondo i dati forniti dall’Istat, infatti, ogni pediatra di famiglia ha almeno da quattro a otto pazienti con una patologia di questo tipo, circa il dieci per cento della popolazione. Una realtà che di certo cambia di continuo e rispetto alla quale bisogna imparare ad adeguarsi. «La conoscenza corre – continua la dottoressa – qualsiasi cosa facciamo oggi, già domani è superata».

«La rarità comporta la poca conoscenza da parte dei centri specialistici. Occorre quindi fornire i segni di allarme, con cui il medico generale, il pediatra di riferimento, lo specialista territoriale e quelli di tutti i reparti ospedalieri possano avere il sospetto della malattia», continua la genetista. In soli tre anni, però, i passi avanti sono stati numerosi e rapidi. «Quando noi dottori abbiamo studiato, di certe patologie non se ne sapeva nulla, non esistevano in pratica – prosegue – Delle oltre settemila catalogate oggi, non ci siamo potuti occupare ancora di tutte. Il riconoscimento tempestivo è fondamentale». I ritardi nella diagnostica, però, non sono una criticità solo nazionale. Anzi, in campo sanitario l’Italia è l’unica in Europa ad avere la pediatria territoriale. La svolta è avvenuta soprattutto iniziando a collaborare con le associazioni dei pazienti: «Il singolo percorso diagnostico terapeutico assistenziale non viene decretato se prima non è condiviso da loro», perché malgrado il paziente non abbia la competenza per decidere quale farmaco utilizzare, è sicuramente quello che più di tutti conosce ogni difficoltà connessa a una patologia.

Esiste, poi, un centro con accesso telematico e collegato alle diverse Asp del territorio e uno sportello malattie rare, che permette di individuare il centro di riferimento in base alla sintomatologia. «Non possiamo curare queste malattie – conclude la genetista – ma siamo in grado di accompagnarle, di aumentare la prospettiva di vita e di migliorarne soprattutto la qualità, non soltanto del paziente ma anche dei suoi familiari col supporto di uno psicologo». Presente al convegno c’è anche Spia onlus, l’associazione siciliana immunodeficienze primitive che dal 2008 a oggi è riuscita a migliorare la qualità del reparto di oncoematoliogia pediatrica all’interno del Civico con arredi a misura di bambino e nuove attrezzature, creando borse di studio per i medici e migliorando le condizioni di cura: «Il ruolo dell’associazione è creare occasioni per far conoscere e far parlare di certe patologie – spiega la presidente Patrizia D’Italia – Campagne di solidarietà con panettoni e uova di Pasqua, mercatini di Natale, volontariato, bomboniere solidali e concerti, tutti eventi volti a sensibilizzare il tessuto sociale». È in virtù di questo obiettivo che è stata allestita la mostra I sogni dei bambini colorano il cielo, con le opere realizzate dai pazienti del reparto insieme ad alcuni artisti nostrani, da Maurilio Catalano a Max Ferrigno.

Insieme a progetti già portati a termine, come Uno psicologo per amico e la casa di Riccardo realizzata nel 2015, che ospita gratuitamente i bambini con gravi patologie oncoematologiche e le rispettive famiglie che vengono da fuori Palermo, ci sono ancora altri sogni che aspettano di concretizzarsi. Primo fra tutti quello dello screening neonatale, strumento che permetterebbe, con una serie di esami svolti nei primi tre mesi di vita di un bambino, di identificare eventuali patologie genetiche e stabilire tempestivamente una terapia adatta. Ma per stare bene non bastano ospedali ed esami, fondamentale è anche lo svago, a cui i piccoli pazienti potrebbero dedicarsi all’interno di quello che sarà lo Spia Camp, ispirato a quello più famoso fondato nel 1985 da Paul Newman in Wisconsin. «Un luogo in cui privilegiare l’educazione allo sport con discipline adattate, cioè coniate per casi specifici», dice Marcello Vattiato, dirigente del Comitato nazionale dell’Opes Italia. Gli ingredienti? Soprattutto natura, animali, teatro e divertimento. «Un posto, insomma, dove i bimbi possano sentirsi uguali a chi non ha patologie – aggiunge – dove non esista la paura».

Silvia Buffa

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