Viale Bernini, incertezza dopo lo sgombero I volontari: «Dal Comune nessuna soluzione»

«Abbiamo dormito dentro il palazzo questa notte, ma abbiamo paura per domani, non sappiamo cosa faremo perché continueranno a costruire il muro». Guardato a vista giorno e notte da una pattuglia di vigili urbani, nel palazzo comunale abbandonato di viale Bernini è passata la prima notte dopo l’intimazione di sgombero di ieri da parte del Comune di Catania. Sempre ieri s’è iniziato a costruire il muro di cui parla Gabriela, una ragazza rumena che vive nello stabile. Teme di essere rispedita in patria, una soluzione prospettata da «una donna rumena che forse è del Comune; è venuta a parlare con noi, l’avevamo già vista al campo all’aeroporto – continua – Ma in Romania non abbiamo nulla, nemmeno una casa». I mattoni chiuderanno tutti gli accessi, per non consentire l’ingresso a chi finora ha occupato l’edificio abusivamente. Secondo una stima fatta dai manovali della ditta, la Migifra di Valverde, l’opera verrà finita «in circa 15 giorni lavorativi». Ma la prima delle quattro palazzine che compongono il palazzo di viale Bernini verrà murata già da questa mattina.

«Il Comune non ha trovato nessuna soluzione: ha solo intimato di andare via e pagato la squadra di operai, costata 30mila euro», dichiara Fabrizio Oliveri, del collettivo politico Aleph. Insieme ad altre realtà della sinistra locale, facenti parte della Rete antirazzista catanese, il collettivo s’è riunito in assemblea sotto i portici mal ridotti per decidere le strategie di supporto ai circa 150 abitanti dell’immobile che, secondo Alessandro, «nei prossimi giorni non avranno certamente un posto dove dormire». Obiettivo primario della Rete, sensibilizzare l’opinione pubblica e il quartiere.

Alla conferenza stampa di questa mattina non c’era nessuno dell’amministrazione comunale, così come nessuno dei servizi sociali o delle associazioni che, a detta dell’assessore Pennisi, si occuperanno di chi ieri ha occupato e adesso si ritrova letteralmente in mezzo alla strada. Nicoletta è una di loro. Abita nel palazzo Bernini da circa sei mesi dopo aver vissuto circa un anno e mezzo nelle baraccopoli di corso dei Martiri. «Ma adesso mi mandano di nuovo in Romania?» chiede. Spiega poi che in Italia è più facile vivere, «con l’elemosina riesco a fare mangiare mio figlio», ma lei comunque vorrebbe tornare nel suo paese, dove vive l’altro dei suoi due figli. «È in ospedale, malato e vorrei tanto rivederlo, ma non ho i soldi». Oltre agli operai al lavoro, ai giornalisti e agli occupanti, sotto i portici del palazzo Bernini c’erano anche i ragazzi del collettivo Aleph e Res.Ca . «Stiamo preparando una contro-petizione per spiegare alla gente che seppur occupanti sono persone e come tali meritano rispetto» dichiarano.

«Il quartiere è ostile, ha risposto sì allo sgombero in una petizione recapitata via posta e ora vediamo il risultato», è il commento di Stella Taverna, che abita a poche centinaia di metri da viale Bernini. Fa parte del gruppo Res.Ca, resistenza catanese, che dipinge un quadro non lusinghiero dei propri vicini di casa: «Quando a largo Bordighera i bambini si avvicinano a quelli dei catanesi vengono cacciati perché questa è una zona di signori». Una situazione estremamente complessa che, però, «vede uno stato di necessità che solleva gli occupanti da qualunque rilievo penale nell’occupazione». Ad affermarlo l’avvocato Giuseppe Carnabuci, che segue la Rete antirazzista catanese fornendo assistenza legale agli stranieri. «Adesso il Comune dovrà farsi carico della responsabilità di cacciare bambini piccoli e donne incinte», commenta.

Ma un rapido giro in zona conferma che l’opinione di chi abita in zona non è tenera nei confronti degli occupanti. «La Catania-Bene non può accettare una situazione del genere. Siamo in piazza Michelangelo qui», commenta il singor Pippo, che passa quotidianamente da viale Bernini per tornare a casa, nel quartiere Picanello. Non vuole sentire ragioni: «Queste persone rovistano nei rifiuti, rubano nelle case, sporcano, e s’avvicinano quando siamo in piazza. La gente scappa perché ha paura, ci mettono un attimo a uscire il coltello». Il singor Pippo non cita mai un episodio di criminalità visto da lui direttamente, ma parla con indignazione di quella volta che «a San Giovanni Li Cuti ho visto un gruppo di loro andare al mare: si sono buttati con tutti i vestiti, con la gente che si scansava per evitarli. Sono usciti dall’acqua e si sono fatti la doccia». Una doccia parecchio malintenzionata, secondo il signor Pippo che, stanco di argomentare, dichiara un «vorrei vedere se li avesse lei sotto casa» e continua a camminare indisturbato per il viale.

 

Leandro Perrotta

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