Viaggio nelle carceri siciliane, dove si rischia la pazzia Fino al 25% di detenuti soffre di disturbi psichiatrici

A Palermo e Catania un detenuto su quattro soffre di disturbi psichiatrici. Al Pagliarelli attualmente tre carcerati sono stati dichiarati incapaci di intendere e di volere e non potrebbero nemmeno stare lì. In tutto, quattro detenuti nel penitenziario palermitano sono stati destinati a strutture alternative, ma restano ancora dietro le sbarre. Senza contare la scarsissima continuità nel rapporto tra medico e paziente e i tempi d’attesa lunghissimi per una visita media specialistica. È lo stato della sanità nelle carceri siciliane, che molti vorrebbero relegare a un buco nero di cui dimenticarsi, e che invece è urgente affrontare per uno Stato di diritto, considerato che, prendendo in prestito le parole di Voltaire, «è dalle carceri che si misura il grado di civiltà di una Nazione». 

Una condizione grave denunciata più volte e ribadita anche nell’ultimo rapporto del Garante siciliano dei diritti dei detenuti. Torna in mente Fabrizio De Andrè, nel racconto della «sua» ora di libertà, mentre descrive l’aria asfittica che si respira al di là delle sbarre. «Di respirare la stessa aria di un secondino non mi va perciò ho deciso di rinunciare alla mia ora di libertà». È difficile, stabilire un contatto di fiducia con chi sta dall’altro lato delle sbarre. Lo è stato ancora di più nella fase di transizione di competenze dal ministero della Giustizia alle Regioni (e dunque alle Asp) che la Sicilia, ultima in Italia, ha completato nel 2018. «Com’era inevitabile – ammette il Garante regionale per i diritti dei detenuti, Giovanni Fiandaca, nel rapporto annuale sullo stato delle carceri – questo passaggio di competenze ha in un primo momento sollevato svariati problemi di natura organizzativa e funzionale, per il superamento dei quali sono state necessari diversi momenti di interlocuzione e confronto tra le autorità penitenziarie e l’assessorato regionale alla Salute».

Ma nonostante adesso, come confermato dal responsabile di settore dell’Asp di Palermo, Pippo Noto, «i servizi sanitari erogati nelle carceri siciliane siano entrati a regime», restano diversi i temi ancora aperti in materia di medicina penitenziaria. A cominciare dai lunghissimi tempi d’attesa per le visite specialistiche, alle quali i detenuti possono accedere attraverso i Cup. Ma mentre il privato cittadino, a fronte dei tempi spesso biblici per le prenotazioni tramite i Centri Unici, può scegliere di rivolgersi alla sanità convenzionata o a quella privata, ai detenuti non resta che aspettare. A volte anche sei o otto mesi per una sola visita medica specialistica. Senza contare che, in assenza di contratti fissi per il personale sanitario e con formule di collaborazione che vengono rinnovate di proroga in proroga (l’ultima in ordine cronologico è inserita nel testo collegato alla Finanziaria in discussione all’Ars), di fatto il rischio è quello di non riuscire a garantire una continuità assistenziale da parte del personale che le Asp destinano alla cura dei detenuti. Evidentemente, poter contare su equipe mediche stabili eviterebbe «una dispersione di conoscenze – scrive ancora Fiancada nel suo rapporto – sullo stato di salute dei reclusi bisognosi di trattamento medico».

Ma il dato in assoluto più allarmante, anche perché in costante crescita, è quello relativo al fabbisogno di assistenza psichiatrica, «essendo via via aumentato – si legge ancora nella relazione del Garante regionale – il numero dei detenuti affetti da disturbi psichiatricamente rilevanti, quale effetto o di patologie pregresse aggravate dallo stato di detenzione o di patologie sopravvenute quale conseguenza dell’entrata in carcere». Una situazione al limite, che arriva in alcune carceri, come al Pagliarelli di Palermo o a Piazza Lanza a Catania, ad interessare un quarto dell’intera popolazione carceraria

Soltanto nel primo trimestre dello scorso anno, in Sicilia sono infatti avvenuti due suicidi, 21 tentativi di suicidio e 128 atti di autolesionismo da parte di detenuti. «Questo dato – scrive ancora Fiandaca nel suo rapporto – colloca la Sicilia ai primissimi posti nella graduatoria nazionale, e non c’è dubbio che alcune delle più gravi carenze riscontrabili nelle condizioni di vita, in particolare di alcuni istituti di pena, fungono da fattore stressogeno che accresce il rischio suicidiario dei soggetti più vulnerabili». 

Esiste già un programma redatto dall’assessorato alla Salute per prevenire il rischio di suicidi dietro le sbarre, «ma al di là di questo pur importante documento – aggiunge il Garante -, è necessario non soltanto che venga applicato, ma anche e soprattutto che migliorino dal punto di vista qualitativo le condizioni materiali di vita, la qualità delle relazioni umane e la capacità di ascolto psicologico all’interno dei vari istituti di pena. Purtroppo, le evidenziate carenze di educatori e di altro personale carcerario contribuiscono oggi ad aggravare la condizione di solitudine e di abbandono in cui non pochi detenuti drammaticamente versano».

Ad erogare il servizio di osservazione psichiatrica sono gli istituti penitenziari Pagliarelli a Palermo e quello di Barcellona Pozzo di Gotto, dove vengono monitorati i detenuti che presentano rilevanti anomalie di comportamento. «Ma è verosimile che, rispetto a non pochi di questi soggetti, sarebbe in teoria opportuna una collocazione in sedi extracarcerarie, Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza (Rems), per consentire un trattamento terapeutico più adeguato».

Ad entrare nel dettaglio dei disagi legati alle Rems è il presidente dell’associazione Antigone Sicilia, Pino Apprendi, che conferma che le residenze per detenuti in Sicilia sono soltanto due (a Naro e Caltagirone), per un totale di 40 posti, a fronte di una richiesta decisamente maggiore. «Nel solo carcere di Pagliarelli – ammette Apprendi – ci sono tre casi accertati e certificati di persone che paradossalmente stanno in carcere da fuorilegge, proprio perché dichiarati incapaci di intendere e di volere e, dunque, destinati dal giudice a espiare la pena in una Rems». Apprendi su questo tema ha chiesto un incontro urgente col presidente della Regione, «ma non ho ancora avuto notizie di una convocazione a palazzo d’Orleans».

Quello della salute mentale dei detenuti, insieme ai lunghissimi tempi d’attesa per le visite specialistiche e alla carenza di mediatori culturali per i detenuti stranieri, sono i tre grandi filoni tematici che accomunano la sanità penitenziaria dell’Isola. Ma a questi si aggiungono piccoli e grandi disagi che singolarmente si vivono nelle varie strutture di detenzione. È così che ad Augusta, ad esempio, il Garante regionale segnala «l’eccessivo avvicendamento del personale medico che impedisce continuità nel rapporto con il detenuto»; mentre a Siracusa si è rivelato carente il «il rifornimento di farmaci, con i detenuti costretti a comprare le medicine con i loro soldi». Situazione analoga a quella che avviene nel carcere di Piazza Lanza, a Catania, dove l’approvvigionamento farmacologico è risultato spesso insufficiente. «Stando alle informazioni fornite dalla direttrice – ha ammesso ancora Fiandaca, riportando l’esito dell’ispezione a Piazza Lanza -, soffrirebbe di disturbi psicologicamente e/o psichiatricamente rilevanti circa il 25 per cento della popolazione carceraria».

Miriam Di Peri

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