Via D’Amelio, salta la testimonianza di Vincenzo Pipino Il ladro gentiluomo che è stato in carcere con Scarantino

Sarebbe dovuto arrivare direttamente dalla sua Venezia, Vincenzo Pipino, per sedere sul banco dei testimoni dell’aula A del tribunale di Caltanissetta. Diventando così anche lui uno dei personaggi tirati in ballo nel processo che si sta celebrando contro gli ex poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Tutti e tre ex uomini del gruppo investigativo Falcone-Borsellino messo su da Arnaldo La Barbera per indagare sulle stragi del ’92, e che oggi devono rispondere di calunnia aggravata. Di aver avuto, insomma, un ruolo anche loro nella creazione ad arte del falso pentito di via D’Amelio, Vincenzo Scarantino. Lo stesso Scarantino che Pipino ha conosciuto di persona. Si sono ritrovati infatti nel carcere di Venezia nello stesso periodo. Da un lato uno dei protagonisti chiave, suo malgrado, delle indagini sulla strage del 19 luglio; dall’altro il ladro gentiluomo più famoso d’Italia e il cui nome è stato tirato in ballo nel processo da un altro testimone ascoltato dai giudici a dicembre, il giornalista veneziano del Gazzettino Maurizio Danese, sentito anche durante il Borsellino quater.

Sotto giuramento, ha raccontato in più di un’occasione di aver raccolto un racconto molto particolare proprio dal suo concittadino, Pipino, rispetto a quella detenzione condivisa con Scarantino. Il ladro pare fosse stato messo vicino al finto pentito di proposito, su iniziativa dello stesso La Barbera, e sapeva quindi che la cella fosse piena di microspie. E già in quella situazione, in quel contesto, Scarantino avrebbe manifestato la sua volontà di tirarsi indietro, dichiarando quanto poi avrebbe cercato di dire più volte senza troppo successo. «Scarantino disse a Pipino che non c’entrava nulla con la strage di via d’Amelio e Pipino poi lo riferì a La Barbera. Ma c’erano anche elementi oggettivi, perché Scarantino era un poveraccio che non sapeva scrivere, piangeva in continuazione. Questa racconto lo appresi in un periodo antecedente all’inizio della collaborazione con la giustizia di Gaspare Spatuzza. Non scrissi nulla perché non potevo verificare il racconto con La Barbera, che conoscevo in quanto ex capo della Mobile di Venezia. Non ricordo se stava già male o se era già deceduto».

Per quel favore speciale, Pipino avrebbe ottenuto, sempre secondo il racconto riferito dal giornalista davanti ai giudici nisseni, un atteggiamento di riguardo per un processo di droga in cui era coinvolto a Roma, oltre alla consegna di 150 milioni di vecchie lire, somma che però il ladro avrebbe rifiutato. L’ingaggio da parte del capo della Mobile di Palermo per carpire informazioni da Scarantino sarebbe avvenuto proprio nella capitale, mentre il ladro si trovava al Regina Coeli. Ordinando poi, in un secondo momento, il suo trasferimento temporaneo nel carcere di Venezia, dove Scarantino era detenuto in un’ala completamente deserta della struttura. «Pipino comprende subito che Scarantino non aveva avuto alcun ruolo nella strage, anche perché piangeva in continuazione dicendo che lui con il furto della 126 non c’entrava (furto che si è poi attribuito Gaspare Spatuzza, ndr), così mostrando uno spiccato grado di suggestionabilità», si legge anche nell’atto di appello presentato dall’avvocato Calogero Montante, che rappresenta Scarantino, contro la sentenza di proscioglimento per prescrizione del Borsellino quater, emessa nell’aprile del 2017 dalla corte d’assise di Caltanissetta.

Pipino avrebbe anche intuito che il compagno di cella aveva capito benissimo che lui aveva il preciso ruolo di farlo parlare. «Tale consapevolezza – si legge ancora nel dispositivo del legale -, unita a quella di essere stato tratto in arresto per crimini mai commessi, avrebbero potuto far cadere chiunque in preda al panico, a maggior ragione soggetti dalla debole personalità come lui». Tutte ragioni per cui, adesso, diventa importante ascoltare dalla viva voce di Pipino il resoconto di questi fatti di cui fu protagonista. Un esame, il suo, per quale però adesso non si sa quanto si dovrà attendere. Oggi al suo posto ad arrivare a Caltanissetta è stato infatti soltanto un certificato medico per spiegare come i problemi legati al diabete gli abbiano impedito di presentarsi, facendo slittare tutto a data da destinarsi.

Silvia Buffa

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