Via D’Amelio, parla il legale di uno dei poliziotti alla sbarra «Il depistaggio? Fu fatto in autonomia dai tre falsi pentiti»

«Il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana c’è stato, ma non ad opera dei tre poliziotti imputati, bensì per opera di tre balordi». La frase è dell’avvocato Giuseppe Panepinto, legale di Mario Bo, uno dei tre poliziotti – gli altri due sono Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – accusati di avere avuto un ruolo nel depistaggio di via D’Amelio, dove il 19 luglio 1992 persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, a eccezione di uno. Panepinto ha parlato nel corso dell’arringa del processo che si sta svolgendo nel tribunale di Caltanissetta. Al centro dell’attenzione c’è la collaborazione con la giustizia che, poco dopo la strage, vide protagonista Vincenzo Scarantino, il falso pentito della Guadagna, a Palermo, che per quasi tre lustri fu ritenuto credibile portando a una serie di sentenze che si tramutarono in condanne per persone che nulla avevano avuto a che vedere con l’attentato. 

Per i magistrati, Scarantino – la cui caratura criminale sin da subito era apparsa ridotta – sarebbe stato indottrinato dai poliziotti. Un lavoro fondamentale per prepararlo agli interrogatori con i magistrati nell’intento di focalizzare tutta l’attenzione su Cosa nostra, come unico soggetto interessato e implicato nella morte di Borsellino. Trent’anni dopo, tuttavia, sono tantissimi gli elementi che fanno propendere per il coinvolgimento di soggetti esterni, tra esponenti dei servizi segreti e appartenenti alla destra eversiva. «Erano abituati a combattere la mafia e non ne potevano più dei suoi capricci. Quindi non avevano alcun motivo per tenersi questo servizio», ha detto Panepinto rivolgendosi alla corte. L’avvocato si è concentrato sulle attività dei poliziotti a San Bartolomeo a Mare, la località ligure in cui Scarantino venne portato. «Non c’è nessuno che ha cercato di proteggere Scarantino o circuirlo – ha detto il legale di Bo – Operavano (i poliziotti, ndr) in una situazione di emergenza perché i Nuclei operativi di protezione (Nop) non erano ancora stati costituiti. Vennero istituiti nel ’95 i compiti di assistenza, mentre precedentemente erano svolti da prefettura e forze dell’ordine. Gli altri collaboratori di giustizia chi li gestiva? Sempre le forze dell’ordine, perché non c’erano altri che li potevano gestire. Quindi quella di Scarantino non era un’anomalia era una cosa normale per quel periodo».

All’epoca fu lo stesso Scarantino – in un caso anche con una telefonata in diretta a Studio Aperto – a ritrattare le proprie rivelazioni. L’uomo accusò anche gli agenti di maltrattamenti. «Sicuramente non c’è nessun coinvolgimento dei tre imputati, e neppure magistrati o soggetti dello Stato», è la versione di Panepinto. L’avvocato dà le responsabilità del depistaggio a Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura, i tre che avrebbero tirato in ballo degli innocenti deliberatamente. «Vogliamo una sentenza che restituisca la dignità ai tre imputati, saranno le parti civili a fare le scuse dopo la sentenza», ha rimarcato Panepinto. Soffermandosi sul proprio assistito, Panepinto ha detto: «Mario Bo è un uomo dello Stato. Forse qualcuno avrebbe voluto che accusasse i magistrati. Ma lui ha sempre e solo detto la verità, le cose che sono accadute. Lui sì. Gliene hanno dette di tutti i colori, gli hanno dato del mafioso e del colluso, e lui è sempre rimasto in silenzio, a subire».

A chiedere di continuare a indagare sui complici esterni alla strage è stata nei giorni scorsi la giudice per le indagini preliminari Graziella Luparello, rigettando la richiesta di archiviazione presentata dalla procura guidata da Salvatore De Luca. Per la gip, i punti da chiarire su ciò che precedette l’attentato e su quello che avvenne anche dopo sono tanti.

Redazione

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