Assolto perché il fatto non sussiste uno dei pentiti accusato di aver contribuito al depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Lo ha deciso la Cassazione che ha annullato senza rinvio la condanna a nove anni di Salvatore Candura. Uno dei collaboratori di giustizia che orientarono l’inchiesta nella direzione sbagliata, verso il gruppo mafioso della Guadagna e di Santa Maria di Gesù, anziché verso il clan di Brancaccio. E che per questo era accusato di calunnia.
Candura nel primo processo Borsellino ha raccontato di aver consegnato a Vincenzo Scarantino, pentito chiave nel presunto depistaggio, la 126 rubata che poi sarebbe servita per realizzare la strage del 19 luglio del 1992 in cui morirono il giudice e cinque agenti della scorta. Questa versione, nonostante l’alternanza di accuse e smentite da parte di Scarantino, ha retto fino in Cassazione. Fino a quando il pentito di Brancaccio, Gaspare Spatuzza, ha raccontato tutta un’altra storia, escludendo il coinvolgimento di Candura e Scarantino e puntando il dito verso il gruppo mafioso capeggiato dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Da lì la revisione del processo a Catania, ferma in attesa della conclusione del Borsellino quater a Caltanissetta.
La sentenza della Cassazione su Candura, che ha scelto il rito abbreviato, arriva proprio mentre è in corso il Borsellino quater, processo che ha ad oggetto proprio il depistaggio e che dovrebbe riabilitare i sette ergastolani, condannati per la strage ma che sarebbero vittime delle accuse del falso pentito Scarantino. Loro hanno scontato diciotto anni di carcere e poi sono stati liberati, in attesa che si accertino le responsabilità, vere o presunte, degli imputati del nuovo processo. Secondo le tesi della Procura e della Procura generale nissene, i nuovi imputati avrebbero fruito di un presunto depistaggio, che avrebbe coinvolto poliziotti, servizi segreti, mafiosi e falsi pentiti come Scarantino e Candura, che oggi però viene assolto.
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