L’eterna indagine sugli omicidi eccellenti di Aldo Moro, Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Una trama storica che è un intreccio di mafia, politica e affari per approfondire le verità nascoste che, ancora oggi, continuano a condizionare il presente e il futuro non solo della Sicilia ma dell’Italia intera. «Nonostante i sentimenti di sfiducia e rassegnazione che avvelenano la nostra società, ci sono anche forti aspirazioni alla verità e alla chiarificazione di questioni adombrate». È il bilancio di Ernesto De Cristofaro, ricercatore del dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Catania e curatore del libro Le verità nascoste. Da Aldo Moro a Mattarella e La Torre su cui si è dibattuto ieri durante l’incontro organizzato da Città Insieme a Catania.
Studiosi, avvocati, magistrati, storici, giornalisti, operatori nel campo del sociale e della prevenzione investigativa, «il nostro – spiega De Cristofaro a MeridioNews – è un libro polifonico in cui ciascuno di noi racconta gli stessi fatti ma da un angolo visuale differente. Da questi diversi punti di vista messi insieme nasce una sorta di mosaico che cerca di illuminare episodi rimasti per troppo tempo nell’ombra». L’embrione di questo libro a più mani e a più voci è un convegno, di circa due anni fa, organizzato da UniCt e dall’associazione Memoria e futuro. «L’idea è quella di offrire un contributo di riflessione per concorrere a chiarire pagine poco chiare della storia italiana degli ultimi 20-30 anni senza la ingenua pretesa di essere risolutivi, ma ciascuno deve fare la propria parte – sottolinea il ricercatore – per ricostruire i pezzi mancanti. Perché l’assenza di verità crea difficoltà di azione negli spazi della democrazia».
Durante il dibattito sulle verità nascoste si sono confrontati la magistrata del tribunale di Catania Marisa Acagnino; l’avvocata presidente dell’associazione Memoria e futuro Adriana Laudani e il giornalista Luciano Mirone. «La consapevolezza cui siamo giunti – afferma De Cristofaro – è che esiste una fetta di società civile che è interessata a scavare per fare luce su pagine poco esplorare e che si mobilita per questo». Depistaggi organizzati in maniera scientifica per fare in modo che il velo di opacità su certe vicende non porti mai a una chiarezza, come «per la sentenza del Borsellino quater, per esempio, nelle cui motivazioni si parla chiaramente di “uno dei più gravi depistaggi della storia italiana”». Come anche i delitti del presidente della Democrazia cristiana ucciso il 9 maggio 1978, il presidente della Regione Siciliana (e fratello dell’attuale presidente della Repubblica) assassinato nel gennaio del 1980 e del sindacalista ammazzato dalla mafia il 30 aprile del 1982 che diede il nome anche alla prima legge sui beni confiscati alla criminalità organizzata.
«Sono vicende cruciali – spiega il curatore del libro – anche perché su queste vicende si sono basati gran parte dei contrasti tra Giovanni Falcone e Antonino Meli, che prende il posto del magistrato Antonino Caponnetto». L’oggetto del disaccordo sono le differenti tipologie di impostazione del lavoro: «Meli, in pratica, sollecitava Falcone a definire i processi politici come fossero uguali ad altri quando, invece, hanno bisogno di maggiore approfondimento perché sono di per sé più complessi». Oltre a questo aspetto storico, poi c’è anche l’aspetto attuale. «Sono questioni che hanno lasciato ancora una faglia attiva e instabile rispetto alla quale sono molti gli interrogativi che vanno chiariti e, in questo, importante è il ruolo dell’informazione».
Si discute di verità nascoste a Catania nel giorno in cui per la prima volta, da quando esiste la legge Rognoni-La Torre, un quotidiano è finito in amministrazione giudiziaria dopo un decreto di sequestro e di confisca per Mario Ciancio Sanfilippo, oramai ex editore del quotidiano La Sicilia. «Nella ricostruzione delle verità per troppo tempo celate, in generale al di là di quello che sarà nello specifico questa questione, quello dell’informazione è un compito delicato specie in terre di frontiera dove l’aggressività dei sistemi criminali si fa forte della rete di relazioni che è la mafia. Quando l’informazione è monopolistica e monopolizzata – commenta De Cristofaro – si indebolisce perché un’unica voce tenderà a trovare un modus vivendi con un sistema estremamente sofisticato».
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