Ventidue anni fa l’omicidio di don Puglisi Il parroco antimafia che cambiò Brancaccio

Attendeva quel momento. Il parroco antimafia che aveva sfidato Cosa nostra a Brancaccio, nel quartiere in cui era nato, regno dei fratelli Graviano,  se l’aspettava. Gli avvertimenti c’erano stati. Circa due mesi prima gli avevano bruciato la porta della chiesa. Ennesimo messaggio nel codice violento dei boss dopo le tante minacce di morte. Ma lui, 3 P, come lo chiamavano con affetto i giovani del quartiere, non aveva mollato. Neppure un passo indietro perché la lotta alla mafia è un impegno quotidiano. Nelle sue omelie aveva puntato il dito contro i mafiosi e ai boss aveva tolto la manovalanza, rivolgendosi ai giovani del rione, togliendoli dalla strada e dando loro un’educazione fondata sul rispetto delle regole.

Una sfida a viso aperto a Cosa nostra. Intollerabile per gli uomini d’onore. La condanna a morte arriva il 15 settembre del 1993, nel giorno del suo 56esimo compleanno. Il suo assassino, Salvatore Grigoli, oggi collaboratore di giustizia, lo attende sotto casa, in piazzale Anita Garibaldi 5, nel popoloso quartiere Brancaccio. Gli si avvicina mentre apre il portone e, puntandogli la pistola alla tempia, gli dice quasi sussurrando: «Padre, questa è una rapina». Lui, il prete buono, figlio di una sarta e di un calzolaio, gli sorride e, guardandolo negli occhi, gli dice: «Me lo aspettavo». Basta un solo colpo, alla nuca, per ucciderlo.

Nella parrocchia di San Gaetano, don Puglisi era arrivato il 29 settembre del 1990, dopo dieci anni di servizio a Godrano, piccolo centro del palermitano. Il 29 gennaio del 1993 aveva inaugurato il centro “Padre Nostro” e aveva iniziato la sua lotta. Si batteva per i diritti del quartiere, denunciando il malaffare e predicando il Vangelo. Una minaccia per il potere di Cosa nostra che doveva essere assolutamente fermata. Una morte che fosse esemplare, plateale. Per la Chiesa e per la gente. In grado di ristabilire i rapporti di forza.

Le inchieste giudiziarie hanno fatto luce su mandanti ed esecutori dell’omicidio. I pentiti hanno rivelato che a ordinare il delitto furono i capimafia, Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati il 26 gennaio 1994 a Milano. Giuseppe Graviano fu condannato all’ergastolo nel 1999, stessa sorte, dopo un’assoluzione in primo grado, per il fratello, che in appello nel 2001 rimediò l’ergastolo. Con loro furono condannati al carcere a vita dalla Corte d’assise di Palermo anche Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò il prete sotto casa. Il 25 maggio del 2013 davanti a oltre 80mila fedeli, nel prato del Foro Italico di Palermo gremito, si è concluso l’iter per la beatificazione. Per il prete che sorrideva andando incontro alla morte

Rossana Lo Castro

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